La mattina dopo la sera in cui è caduto Berlusconi, in cui la gente ha fatto festa e io sono andato a vedere I soliti idioti, insomma quella sera che ho raccontato qui qualche giorno fa, in cui mio figlio più piccolo mi aveva incitato alla battaglia, finalmente ho combattuto e perso, con tanta grinta e divertimento, forse per sfogare quel senso di smarrimento e disadattamento che mi portavo dentro. E poi abbiamo giocato anche a pallone, sudando e sporcandoci tutti, sotto un sole intenso, sbagliato ed esagerato, per essere novembre.

Poi il pranzo, quello domenicale, che per molti come me è diventato un pranzo come gli altri, più o meno arrangiato. Oggi niente calcio, per colpa degli spareggi per gli Europei. Domenica complicata e noiosa da gestire, come tutte quelle senza campionato, se non ci fosse da andare a vedere lo spettacolo di Pippo Delbono all’Argentina, Dopo la battaglia. Questo titolo, in questa giornata, sembra uno scherzo.

La platea dell’Argentina è quella di sempre: tante coppie di tutte le età, tutte rigidamente borghesi. Tante signore, tutte vestite bene. Il teatro è pieno in ogni ordine di posto. Sui palchetti in alto ci sono quelli del Valle Occupato che stasera hanno invitato Pippo a casa loro e sono stati ricambiati nell’ospitalità. Mi piace molto Pippo Delbono, che anni fa ha fatto anche un film bellissimo che mi sarebbe piaciuto produrre: Guerra. A teatro è un incanto.

Parte lo spettacolo e iniziano a volare schiaffi agli spettatori che vengono aggrediti da immagini e parole sconvolgenti, che raccontano di solitudine, di manicomi, di segregazioni coatte, di tagli al Fus, della mamma di Pippo che preferirebbe che Pippo facesse ridere. Gli occhi gridano. Il violino accompagna il viaggio disilluso. Le membra danzano. Sì, si danza, sul palco e in platea. Pippo fa roteare le signore prese a caso, che si prestano tutte stupite e inorgoglite. Gianluca, anche qui c’è un Gianluca, immenso questo, sorride e si muove con grazia. Piccoli fiori danzano come parole nella mente di un uomo che non parla, Bobò.

E si pensa, Gianluca dai c…!, qui finalmente si pensa e ti viene la voglia forte di urlare che il mondo che abbiamo costruito non ci piace, che non ci piace l’imbarazzo della gente che assiste a uno spettacolo così grande e non sa far altro che dire “Sconvolgente! Ma è un genio!” per tornare, usciti di qua, alla propria vita di privilegi e compromessi in una città che gronda schifezza, in un paese che gronda schifezza, in un mondo che gronda schifezza.

Prima di uscire dal teatro, guardo il sudore di Pippo, guardo lo sguardo di Gianluca, guardo la voce che non c’è di Bobò, guardo il violino muto, guardo il palco di quelli del Valle: no, non proprio tutto è una schifezza.

“E un giorno torneremo ad esser uomini”

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