Nazione arcobaleno è il titolo che viene di solito attribuito al Sudafrica. Eppure, stando ai dati del censimento 2010, dovrebbe essere il Brasile a fregiarsene. I risultati preliminari della rilevazione diffusi oggi dall’Instituto brasileiro de Geografia e Estadistìca (Ibge) disegnano infatti la fotografia di quello che è probabilmente il paese più meticcio del mondo. Dei 191 milioni di persone che costituiscono la popolazione del colosso latinoamericano, infatti, solo 91 milioni si definiscono “bianchi”. Gli altri si dividono tra meticci (82 milioni) e afrobrasiliani (15 milioni). Tra le minoranze, 2 milioni si sono identificati come asiatici e poco più di 800 mila come indigeni.
Tradotto in percentuali, i bianchi sono il 47,7 per cento della popolazione brasiliana, i meticci il 43,1 e i neri il 7,6. Negli ultimi dieci anni – il precedente censimento generale è del 2000 – c’è stato dunque un sorpasso storico: per la prima volta nella storia dell’ex colonia portoghese, i bianchi non sono la maggioranza della popolazione. Neri e meticci, sommati, infatti, arrivano al 50,7 per cento del totale.
Non sono questi gli unici dati rilevanti del censimento brasiliano. Anche nella rilevazione, infatti, sono stati registrati i progressi che il Paese, una delle potenze emergenti di questo inizio secolo, ha compiuto. Il tasso di analfabetismo tra gli adulti è sceso dal 13,6 per cento al 9,6; quello tra i bambini sotto i 14 anni è passato dal 7,3 per cento del 2000 al 3,9 di oggi e il tasso di abbandono scolastico è calato dal 5,1 al 3,1. I cambiamenti della società brasiliana si fanno sentire anche nei costumi sociali: il tasso di fertilità è sceso da 2,38 figli per donna a 1,86, avvicinandosi così a quello delle economie più sviluppate.
Altrettanto profonde, però, sono le disuguaglianze registrate dal censimento, che in quasi tutti i campi ha evidenziato una profonda disparità tra il nord e il sud del Paese, nonché tra le grandi città e le aree rurali. L’Ibge inoltre ha sottolineato “la acuta disparità dei redditi” che ancora rende il Brasile uno dei paesi più diseguali del mondo: l’1 per cento più ricco della popolazione controlla infatti il 44,5 per cento della ricchezza nazionale, mentre il 10 per cento più povero ne controlla appena l’1,1 per cento. Le divisioni di reddito incrociano quelle “razziali” anche se il Brasile si vanta di essere un Paese dove il colore della pelle non conta: secondo i dati dell’Ibge, i brasiliani asiatici guadagnano in media il doppio dei loro connazionali meticci. Metà della popolazione, inoltre, guadagna meno del salario minimo mentre la povertà colpisce soprattutto gli afrobrasiliani, che raramente fanno carriera tanto nel settore pubblico quanto in quello privato.
La crescita economica degli ultimi dieci anni, inoltre, ha fatto aumentare anche la cosiddetta “Classe C”, cioè la piccola borghesia che per la prima volta si sta affacciando a un modello di stile di vita e di consumo vicino a quello dei paesi europei. Secondo una rilevazione compiuta all’inizio di novembre da un’agenzia di marketing specializzata in rilevamenti turistici, la Data Popular, nel 2010 il 34 per cento delle famiglie della “classe C” hanno potuto permettersi consumi come una vacanza interna. Nel 2002 lo stesso tipo di consumo riguardava solo il 17 per cento dei cittadini in questa fascia di reddito.
Non sono però cambiamenti indolori, almeno per la percezione che ne ha l’alta borghesia. Sempre secondo Data Popular, infatti, il 48 per cento dei cittadini nelle fasce di reddito A e B pensa che la qualità dei servizi è peggiorata a causa del maggiore accesso. Il 55 per cento di questi cittadini privilegiati pensa inoltre che è giusto che ci siano differenti versioni dello stesso prodotto in base alle classi sociali a cui è destinato.
Sono disparità e disuguaglianze ancora irrisolte nonostante una crescita economica che nel 2010 è arrivata al 9 per cento annuo, il livello più alto degli ultimi 14 anni, e che ha fatto del Brasile l’ottava economia del mondo. Anche perché è stata una crescita concentrata soprattutto sul mercato interno, che ha retto abbastanza bene al rallentamento dell’economia mondiale e di quelle occidentali in particolare. Così come per il Sudafrica del dopo-apartheid la coppa del mondo di rugby del 1995 segnò il ritorno a pieno titolo nella comunità internazionale e quella di calcio del 2010 il pieno riconoscimento delle proprie aspirazioni mondiali, con queste credenziali il Brasile ha iniziato a prepararsi alla coppa del mondo di calcio del 2014.
di Joseph Zarlingo