A Misurata, Tripoli e in altre città della Libia la notizia si è diffusa rapidamente e migliaia di persone sono scese in strada a festeggiare l’arresto di uno degli esponenti più odiati del vecchio regime. Saif è ricercato ufficialmente dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità per cui il primo problema che il governo libico dovrà affrontare è decidere se estradare Saif o processarlo in patria. «Faremo a Saif un processo secondo le norme internazionali – ha detto il ministro della giustizia del Cnt Mohammed Alalaqi – E non abbiamo alcun problema ad avere osservatori internazionali durante il processo, che sarà coordinato con le richieste della Corte penale internazionale». Un portavoce della Corte, Fadi el-Abdallah, ha dichiarato alla britannica Bbc che la corte si aspetta l’estradizione perché la Libia è obbligata a consegnarlo all’Aja.
Saif al Islam è stato per molto tempo considerato la faccia buona del regime libico e il più incline a stabilire buone relazioni con l’Occidente. Perfino il New York Times, nel 2010, lo descrisse come «il volto libico amico dell’Occidente e un simbolo della speranza nelle riforme e nell’apertura». Come braccio destro di Gheddafi, aveva negoziato i risarcimenti per i familiari delle vittime dell’attentato di Lockerbie (1986) e di altri attentati imputati ai servizi segreti libici alla fine degli anni ottanta. Forte delle sue buone conoscenze occidentali, soprattutto britanniche, maturate durante il PhD alla London School of Economics, Saif era anche il cervello della trasformazione economica della Libia e dell’apertura ai capitali occidentali, sia nel settore petrolifero che in altre aree chiave avvenuta negli ultimi dieci anni. Le sue riforme, però, avevano creato molte tensioni nel regime, tanto che nel 2008, con un messaggio televisivo aveva annunciato che si sarebbe ritirato dalla politica e dagli affari di stato.
Dall’inizio della rivolta contro il regime, però, il suo ruolo è radicalmente cambiato. Mentre un altro figlio del colonnello, Khamis, si occupava della gestione militare della repressione e della guerra, Saif ha avuto il ruolo di portavoce del regime. I suoi interventi televisivi e le interviste sapientemente concesse ad alcuni media internazionali dovevano servire a rassicurare i sostenitori del regime e a screditare i ribelli, spesso definiti «drogati e balordi». «Siamo nel nostro paese e resisteremo – aveva detto in uno degli ultimi discorsi trasmesso dalla tv di stato appena poche ore prima dell’ingresso delle truppe del Cnt a Tripoli – Resisteremo sei mesi, un anno, due anni e alla fine vinceremo».
Dopo la caduta di Tripoli, si era sparsa la voce della cattura di Saif, che però era poi comparso poche ore più tardi nelle strade della capitale accompagnato da una folla di sostenitori del regime. La sua versione è che il reparto del Cnt che lo aveva catturato era stato a sua volta sopraffatto in un’imboscata di fedelissimi, ma non è stato ancora chiarito se fosse stato davvero catturato oppure no. Questa volta, invece, non sembrano esserci dubbi.
di Joseph Zarlingo