Non occorre scomodare i complotti planetari, né l’epocale crisi del capitalismo. Quella che sta accadendo in Italia è semplicemente la riconferma di un’abitudine consolidata da almeno quarant’anni: l’economia dello choc, cui una delle più importanti giornaliste del pianeta ha dedicato il suo ultimo libro. Naomi Klein, nel 2007, con il saggio Shock Economy ha raccontato come disastri naturali, crisi economiche e guerre rappresentino ormai da decenni una ghiotta occasione su cui si avventano gli avvoltoi della nuova finanza.

Nel nostro piccolo avevamo già sperimentato un esempio casareccio di shock economy, con l’agghiacciante intercettazione durante la terribile notte del terremoto d’Abruzzo in cui due imprenditori ridevano e si complimentavano per i ghiotti affari in arrivo.

E’ una prassi consolidata, una prassi planetaria. La Klein fa risalire il primo caso alla sanguinosa caduta del governo Allende e all’avvento di Pinochet, in Cile, nel lontano 1973. Al Cile sono seguiti la Russia postcomunista, con i suoi morti per fame; Cina, Polonia, Bolivia, tigri asiatiche, Iraq e persino i Paesi colpiti dallo tsunami del 2006 e la New Orleans post-Katrina.

In tutti questi casi a popolazioni sotto shock, terrorizzate, paralizzate dagli eventi è stata prontamente inflitta una cura economica radicale, a cui mai avrebbero ceduto se non fossero state inebetite come un pugile suonato. Una cura turbocapitalista, iperliberista, che ha tolto loro welfare, diritti acquisiti e ceduto i beni dello Stato a entità spesso straniere. I loro governi sono finiti in mano ad “esperti”, a “tecnici”, che hanno regolarmente propinato la medesima ricetta a tutte le latitudini e in tutte le situazioni: liberalizzazioni, privatizzazioni, svendite. Ricetta che non ha mai funzionato.

Furono battezzati, in quel lontano 1973 a Santiago del Cile, Chicago Boys. Arrivarono in massa dagli Stati Uniti, nella loro veste di consulenti del governo golpista, a rimettere a posto i “guasti” prodotti dal precedente governo socialista regolarmente eletto. Cileni addestrati all’Università di Chicago, e il loro mentore era quel professor Milton Friedman insignito dello pseudoNobel per l’economia (il Nobel per l’economia viene attribuito ogni anno dalla Banca di Svezia e non è compreso nei premi istituiti da Alfred Nobel, è molto discusso e si medita di abolirlo), colui che ha tentato in ogni modo di accreditare come scienza esatta la famigerata “invisibile mano del mercato”, oltre allo “Stato leggero”. E’ il mandante morale di tutti i tagli che stanno per caderci sulla testa.

Non so se i nostri ministri siano seguaci di Friedman, anche se ne ho il forte sospetto. Ho sentito dire che non c’è neanche un keynesiano, nel nuovo governo di consulenti economisti: tutti Chicago Boys? Non una buona notizia.

D’altronde, il nostro Paese è decisamente sotto shock: come accaduto a tanti altri prima di noi, siamo paralizzati dal terrore, dal baratro di un imminente default, dallo spettro della crisi che aleggia, dal conto alla rovescia dello spread, dalle minacce di finire come la Grecia, dal Titanic che affonda, presto chiamate l’ammiraglio. Abbiamo subìto mesi di shock, siamo pronti ad accettare qualsiasi soluzione purché ci tiri fuori da questo incubo.

Insomma, siamo i pazienti perfetti per la cura drastica: è arrivato il nostro turno di averli in casa. Sweet home, Chicago.

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