Parlare dello sfratto delle 86 famiglie che occupavano abusivamente – ancora dopo 10 anni di battaglie legali – Dale Farm, a Basildon nell’Essex, è come fare la cronaca di una morte annunciata.
Negli ultimi mesi infatti, a partire dall’inizio del 2011, lo scontro tra i traveller (i “viaggiatori”, che includono sia i rom che i cosiddetti Irish traveller) che volevano ottenere la regolarizzazione della loro permanenza, e l’autorità locale del Council che quella autorizzazione non gliela voleva concedere, si era fatto sempre più serrato e aveva lasciato chiaramente presagire l’esito negativo per i nomadi.
È interessante però porre l’attenzione su alcune delle dinamiche secondo cui la vicenda si è svolta. La storia è infatti lunga e si colora di sfumature indicative di alcune tendenze della società attuale, non solo britannica.
Innanzitutto, la polizia. Reduci dal significativo dispiegamento di forze dell’ordine durante gli scontri della scorsa estate – accuratamente a scoppio ritardato, quando un numero discreto di facinorosi era già stato lasciato sufficientemente libero per incendiare un palazzo intero a Croydon -, il pubblico britannico ha assistito a un’altra prova di forza della polizia a Dale Farm.
La mattina del 19 ottobre, infatti, la polizia si è presentata in forze all’accampamento nomade, probabilmente prevedendo la reazione degli abitanti. “Gli sfratti per i traveller sono sempre particolari rispetto a tutti gli altri”, mi dice Tricia Phillips, direttrice del Peckham Settlement Community Centre. “La polizia usa sempre la mano pesante e stavolta, oltre ad abbattere muri di case a norma, ha anche colpito violentemente le donne che si sono opposte”.
“Colpito violentemente” significa, in alcuni casi, che i poliziotti hanno usato la scossa elettrica per neutralizzare la resistenza. “Non pensavo la polizia potesse usare i taser”, ha commentato una donna intervistata dal Guardian. E invece a quanto pare può, o per lo meno ha potuto questa volta con i travellers.
Magari non sbaglia la direttrice del Peckham Settlement Centre quando dice che per nomadi, gipsy e simili si usa un trattamento speciale: “C’ero quella mattina e ho visto come la polizia trattava donne e bambini. Ho persino chiesto a uno degli agenti: ‘riterresti giusto che fosse tuo figlio ad assistere a queste violenze?’. Lui mi ha guardato come se dicessi un’eresia e mi ha detto: ‘mio figlio sarebbe a scuola a quest’ora’.”
Certo, probabilmente anche i bambini traveller sarebbero andati a scuola, se non avessero trovato all’uscita dell’accampamento le camionette della polizia.
“Ma qual è il problema secondo te con voi traveller?” chiedo a Kathleen Joyce, una nomade di origine irlandese che, da quando è vietato per legge vivere viaggiando di sito in sito, si è stabilita con la sua famiglia nell’accampamento allestito a Peckham dalle autorità locali. “Non lo so, davvero”, mi dice con un forte accento Irish. “Non capisco perché il fatto che viviamo in una tenda debba renderci diversi, siamo sempre esseri umani!”
“È diverso perché crea un precedente”, mi dice un mio amico inglese a cui ho chiesto un parere sulla questione. “Un precedente per chi, scusa?” gli chiedo un po’ scettica all’idea che l’inglese medio – ma anche l’italiano medio, o il francese medio, o l’americano medio – muoia dalla voglia di vivere in una roulotte, spostandosi ogni due settimane, vivendo praticamente di espedienti e possibilmente attirandosi l’antipatia di tutti gli stanziali con cui entra in contatto.
“Non fa niente, potrebbe essere considerato normale. E poi era giusto togliere l’anarchia dalle strade, non è che uno può prendere e fermarsi dove vuole, ogni volta che vuole”.
Capisco: è una questione di regole, di ordine. Insomma, è una questione di disciplina. Tirando un po’ le fila di ragionamenti e riflessioni, tra quello che mi hanno detto Tricia Phillips, Kathleen Joyce e il mio amico inglese, mi viene in mente una conclusione: tutto quello che devia dallo stile di vita predominante non va bene. Oppure, può deviare, basti che devii garbatamente, senza intralciare troppo, senza “costituire precedenti”. Però probabilmente per l’inglese medio, o per lo meno di sicuro per le autorità del Council di Basildon, il deviare dei traveller è veramente troppo. Cercherò di ricordarmelo la prossima volta che parlo di multiculturalismo e tolleranza nel Regno Unito.
Di Viola Caon, giornalista freelance che lavora a Londra. Si occupa di cultura, politica, società e minoranze. Il suo blog Allovertechnique parla di questi temi. Collabora anche con il blog 404 –file not found che riflette invece i suoi interessi culturali