Comincio domani, da Bologna, con la prima presentazione. Comincio dalla libreria delle Coop, alle sei di sera di martedì – se volete venire a sentire – invitato dal mio amico Romano Montroni. Il titolo del libro è Gioventù amore e rabbia, e mai avrei pensato che sarebbe potuto essere più attuale. Un viaggio nell’Italia della nonnocrazia, del non lavoro, dei precari sfruttati e della protesta.
Come sapete, i libri (e i loro titoli) si pensano mesi prima che escano. E io questa estate, mentre scrivevo i capitoli sui cassaintegrati e sul grande inganno della Fiat, non immaginavo che quando poi Gioventù amore e rabbia sarebbe uscito, molte delle cose che ipotizzavo e ricostruivo sarebbero diventate così rapidamente vere.
In questo libro racconto anche alcune episodi della mia storia professionale. Sono entrato per la prima volta in un giornale nel 1989. Inizia ad essere tanto, se é vero che all’epoca il giornalista era un mestiere privilegiato e adesso, come racconto nel libro, é la metafora perfetta dell’Italia precaria, con i ragazzi pagati 4 euro a pezzo e le redazioni che registrano fedelmente l’ingiustizia anagrafica di questo paese: i giovani lavorano il doppio e guadagnano la metá degli anziani a parità di mansioni. Sono entrato nel tempo in cui il cuore di un giornale erano la coralità e le tipografie, adesso ci sono ragazzi che lavorano da anni, ma in assoluta solitudine, con giornali che per loro sono solo un indirizzo mail.
Ho dedicato un capitolo alla storia di Maria Grazia Cutuli, con cui ho lavorato a Il Corriere della sera, quando avevamo contratti a termine che scadevano lo stesso giorno. Maria Grazia é morta in Afghanistan mentre raccontava una sporca guerra, dopo aver provato tutta la vita a raccontare “il cielo degli ultimi”, le guerre dimenticate e i luoghi dell’ingiustizia.
Oggi lo stipendio minimo di un praticante é inferiore a quello di una colf. Per questo ho dedicato un capitolo a come é nato Il Fatto: qualcuno si divertirà con i dettagli del retroscena, ma la cosa che mi interessava, ricostruendo le difficoltà della vigilia, quando nessuno avrebbe scommesso un nichelino su di noi, é che – qualunque cosa accada in futuro – siamo giá diventati una piccola lezione sul fatto che quando ci si mette in gioco nulla é impossibile.
Questo capitolo ha un protagonista: che non é Travaglio o Padellaro, ma un personaggio chiave de Il Fatto che il grande pubblico non conosce, Giorgio Poidomani, il nostro amministratore. É stato lui a “inventare” il piano che ha reso possibile costruire un quotidiano che si fondasse sul finanziamento dei lettori e che fosse capace di stare in piedi senza poteri forti alle spalle. Dai dubbi della moglie di Lillo (e della mia) a quando Freccero ci definiva “la sporca dozzina” (eravamo solo dodici, ora siamo più di trenta!), in fondo la lezione di questo giornale é in questo impasto di generazioni: il futuro ha radici antiche.