Dopo cinque mesi di parole, di incontri decisi e poi rimandati, di accordi che parevano pronti per essere firmati e che invece sono stati riposti nel cassetto, il lockout della pallacanestro made in Usa comincia a gravare sulle tasche delle stelle in calzoncini corti. Che da qualche giorno non ricevono più dai loro presidenti la paga prevista dal contratto e si stanno organizzando per vie legali per ottenere il dovuto (due gli esposti presentati in altrettanti stati con la richiesta di risarcimento danni). Se per qualcuno è un danno di tutto rispetto, che lo stipendio è sì alto ma non abbastanza per acquistare una casa ogni dodici mesi (473 mila dollari all’anno è la paga minima, il compenso che spetta ai rookies, i giocatori al primo anno in Nba), per altri, non tantissimi, lo stop al basket giocato fa male fino ad un certo punto. Perché il denaro arriva comunque dagli sponsor che pagano oro per abbinare il loro marchio ai volti dei grandi della Nba.
Secondo un’indagine pubblicata da Forbes, dei 450 giocatori tesserati in Nba “soltanto” il 2 per cento riuscirebbe a mettere da parte più di 5 milioni di dollari grazie a partnership con il mondo della pubblicità. Insomma, un élite all’interno di una categoria più vasta di bravissimi e fortunatissimi che guadagnano denaro con lo sport che è tra i più seguiti in tutto il mondo. “Siamo entrati nell’inverno nucleare della Nba”, ha detto il commissario David Stern, capofila dei presidenti che non trovano l’accordo con l’associazione dei giocatori, all’indomani dell’ultima offerta rifiutata dagli atleti. Ma non si riferiva certamente ai dieci campioni che fatturano denaro come se piovesse anche a campionato fermo.
Guida la speciale classifica dei più pagati LeBron James, 26enne di 2 metri e 3 centimetri che gioca, meglio, giocherebbe per i Miami Heat. Per lui, gli impegni fuori campo sono numerosi e soprattutto particolarmente redditizi. Nike, Coca Cola, McDonald’s, State Farm e Upper Deck gli riconoscono insieme qualcosa come 33 milioni di dollari a stagione. Circa il doppio di quanto percepisce per contratto dagli Heat. James sorride di gusto quando gli si parla della Nike. Già, perché l’azienda che si occupa di abbigliamento sportivo pare che gli giri poco meno di 1 milione di dollari al mese. Come dire, c’è di peggio. Nel mese di ottobre, per venire incontro alle esigenze commerciali del suo principale sponsor, il super campione della Nba è volato in Inghilterra in tempo per presenziare ai training camp. E poi è stato visto all’Old Trafford, lo stadio del Manchester United, per assistere alla partita tra la squadra di casa e il Liverpool, con il quale pare ci siano affari in vista. Ci fosse anche il basket pro, sarebbe proprio un problema trovare il tempo per fare tutto.
Il secondo posto in classifica è occupato dal numero 24 dei Los Angeles Lakers, Kobe Bryant, corteggiatissimo nelle ultime settimane dalla Virtus Bologna, che lo avrebbe accolto a braccia aperte per fargli giocare qualche gara in Italia. Per la guardia dei Lakers, gli sponsor chiave rispondono ai nomi di Nike, Smart Car, Turkish Airlines e Panini. L’assegno “fuori busta” corrisponde a 28 milioni di dollari, centesimo più, centesimo meno.
Sul gradino più basso del podio, un altro uomo copertina dei Miami Heat, Dwyane Wade, che ringrazia, tra gli altri, T-Mobile e Gatorade, e fattura 12 milioni di biglietti verdi. L’anno scorso, la squadra di Miami gli ha girato un assegno da 14 milioni. In cambio, il giocatore gli ha garantito una media di 25 punti a gara, altro che chiacchiere.
Dalla quarta alla decima posizione, è una sfilata di stelle. Forbes mette in fila, nell’ordine, Dwight Howard (11 milioni di dollari), Kevin Durant (9 milioni), Carmelo Anthony e Amar’e Stoudemire (8 milioni) Chris Paul (6 milioni), Kevin Garnett e John Wall (5 milioni).