La Guardia di finanza ha fermato con l'accusa di concussione Ivano Savi e Stefania Benecchi, dirigenti della holding comunale delle società participate. I due, tramite una società di comodo, avrebbero accumulato decine di migliaia di euro ottenuti da imprenditori ai quali i manager promettevano favori durante le gare d'appalto per l'assegnazione di importanti opere in città
L’operazione si chiama Spot money ed è coordinata dalla pm Paola Dal Monte, la stessa di Green Money e Easy money, le due ondate d’indagini che hanno travolto il Comune portando in carcere e ai domiciliari in totale quindici persone tra giugno e settembre: tra queste l’ex assessore alle Politiche scolastiche Giovanni Paolo Bernini e l’ex capo dei vigili urbani Giovanni Maria Jacobazzi.
Savi e Benecchi, stando alle prima informazioni, avrebbero utilizzato una società di comodo – ma schermata da una fiduciaria milanese – per incassare denaro illecitamente. Gli imprenditori, come specifica un comunicato della Guardia di finanza, sarebbero stati costretti a pagare. In cambio avrebbero ottento quantomeno la garanzia di trattamenti di favore nell’assegnazione di importanti lavori in città. “Gli indagati – fa sapere il Comando delle fiamme gialle – hanno posto in essere molteplici condotte fraudolente inficiando, così, la correttezza di gare pubbliche già eseguite ed ancora in corso di esecuzione”.
Oltre agli arresti il Nucleo di polizia tributaria, titolare dell’indagine su mandato della Dal Monte, ha eseguito anche il sequesto di due appartamenti in Val di Fassa, intestati a società che Savi e Benecchi avrebbero utilizzato come fondo cassa. Valore degli immobili: un milione di euro. Le case sarebbero state acquistate con soldi ottenuti da attività illecite. Camera con vista su piste da sci, con in tasca soldi probabilmente sporchi. Le indagini, svolte nel massimo riserbo come dicono dal comando provinciale, hanno permesso di acquisire “numerosi riscontri” fra cui documenti “contabili ed extracontabili di natura anche bancaria”.
Il tintinnare di nuove manette, ormai, non coglie di sorpresa la città. Dopo gli arresti della scorsa estate, le voci di nuovi provvedimenti giudiziari si susseguono quotidianamente a Parma. I verbali secretati e i lunghi interrogatori in Procura dei fermati, soprattutto nell’ambito di Green Money, lasciano supporre l’allargamento delle inchieste anche se l’operazione di stamattina riguarda un filone del tutto inedito ed estraneo alle precedenti azioni della magistratura. “In particolare – recita un comunicato della Guardia di finanza – le investigazioni hanno fatto emergere la propensione a delinquere dei funzionari pubblici coinvolti”. La propensione. Del resto l’aveva detto Gerardo La Guardia, capo della Procura: “A Parma la corruzione è un fenomeno molto diffuso”.
Ivano Savi in particolare, classe 1964 e origini piacentine, architetto ed ex dirigente in Municipio poi passato a Stt, era stato già sospeso nel suo incarico nella holding dopo essere stato iscritto nel registro degli indagati – la scorsa primavera – per la faccenda ex Scalo merci: l’ara di di viale Fratti dove era in progetto la costruzione della nuova Questura e di un polo medico pediatrico ma dove – secondo gli inquirenti – il Comune non avrebe rispettato le procedure amministrative per la bonifica da sostanze tossiche dei terreni. Stefania Benecchi, classe 1971 originaria della provincia di Parma, aveva finora ricoperto la funzione di direttice finanziaria di Stt. Tornano alla mente, in queste ore, le lunghe conversazioni tenute nei mesi scorsi in Procura da Massimo Varazzani, il superpresidente “liquidatore”, uomo di Giulio Tremonti, posto a capo di Stt per cercare di frenarne la deriva finanziaria e salvarne le casse disatrate.
A differenza dei mesi scorsi, stavolta la Guardia di finanza ha tenuto un profilo basso nell’esecuzione degli arresti. Solo un comunicato, per ora, è stato diffuso. Proprio nei giorni scorsi gli avvocati penalisti del foro di Parma aveva pubblicamente protestato contro “la giustizia show”, criticando gli arresti in diretta della scorsa estate e il presunto utilizzo della micura cautelare in carcere finalizzata all’ottenimento di informazioni dagli arrestati.