Questa volta c’eravamo quasi. Il Belgio era arrivato ad un soffio dall’avere un nuovo governo, dopo 526 giorni di negoziazioni politiche, ma alla fine non ce l’ha fatta. Tutto è successo in un pomeriggio. Alle 14 e 30 inizia la riunione tra i sei partiti parte della maggioranza. Alle 15 e 20 Elio Di Rupo, Premier designato, esce sconsolato destinazione Palazzo reale per consegnare le dimissioni a re Albert II, che adesso dovrà decidere se accettarle o meno.
L’incontro tra i sei partiti della maggioranza (PS, MR, cdH, CD&V, Open Vld et sp.a) si era aperto sotto i migliori auspici, con quattro di questi pronti ad appoggiare la proposta del socialista Di Rupo. Incerti i due partiti liberali, i francofoni del MR e i fiamminghi dell’Open Vld, indecisione che alla fine è diventata netto rifiuto di accettare il piano per il budget federale 2012. Una situazione che, secondo le indiscrezioni trapelate nel pomeriggio, lo stesso Di Rupo aveva definito “drammatica”, e tale alla fine si è rivelata. La partenza in macchina del quasi Premier socialista verso il palazzo reale ha tutta l’aria di una resa di fronte ad un Paese che un accordo sembra proprio non volerlo trovare.
Questa volta il pomo della discordia è costituito dalle linee sul bilancio e dai tagli che da qualche parte bisogna fare, se non si vuole essere trascinati nel baratro della crisi dell’Eurozona. L’anno prossimo infatti il Belgio dovrà recuperare circa 11,3 miliardi di euro, su questo sono tutti d’accordo. Il problema resta il come. I liberali rinfacciano alla maggioranza socialista, con cui sono costretti a formare il governo, di aumentare le tasse senza includere sufficienti tagli di bilancio o riforme sostanziali sulle pensioni o sulle indennità di disoccupazione pregiudicando in questo modo le piccole e medie imprese. Questo nonostante il vice presidente MR, Willy Borsus, avesse accolto favorevolmente i “passi in avanti” contenuti nella bozza Di Rupo.
Ma niente da fare, i sei rappresentanti socialisti (PS e sp.a), cristiano democratici (cdH e CD&V) e appunto liberali (MR e Open Vld) non sono proprio riusciti a mettersi d’accordo. All’ingresso della sala della riunione la vice Premier socialista Laurette Onkelinx, dopo aver riferito che quattro partiti erano disposti a dare il loro ok di massima, aveva detto che “tutto dipende dai liberali”. E infatti tutto da loro è dipeso. E meno male che i due partiti verdi (Ecolo e Groen) erano stati tenuti fuori dalla coalizione proprio per evitare ulteriori stop, a costo di una maggioranza più risicata, “secondo la richiesta dell’Open Vld e della CD&V”, riferisce Jean-Michel Javaux, copresidente di Ecolo. “Prendiamo atto che non è servito a molto”, ha aggiunto in serata.
Ma a ben guardare la situazione del Belgio c’è davvero poco da ridere. Il presidente della cdH, Benoît Lutgen, si è detto “scioccato”. “La situazione è grave per tutti i cittadini”, ha detto, aggiungendo che il comportamento dei liberali “è da irresponsabili”. Lo stesso re Albert II, abituato a mantenere un certo aplomb, dopo aver ricevuto le dimissioni di Di Rupo ha fatto sapere di “mantenere in sospeso la sua decisione” ed ha chiesto ai sei partiti che partecipano ai negoziati di ”misurare le conseguenze di un eventuale fallimento”.
A ridere dell’intera situazione sarà di sicuro Bart De Wever, leader del partito fiammingo separatista N-va, che ha fatto più volte cadere i negoziati sempre per supposte ragioni di budget e autonomia federale. Il cosiddetto “leone delle Fiandre”, pur avendo moralmente vinto le elezioni del lontano giugno 2010, era rimasto fuori dalle negoziazioni di maggioranza perché non allineato con il progetto di governo. D’altronde quello che lui voleva, ovvero una maggiore autonomia linguistica ed amministrativa di alcune parti della circoscrizione elettorale e giudiziaria di Bruxelles-Hal-Vilvorde (BHV), lo ha già ottenuto ai primi di ottobre, quando sembrava di essere ad un passo dal tanto sospirato governo. Oggi più che mai, l’implosione del Belgio non sembra più un tabù.