C’è sempre un valido motivo per compilare una lista. Le liste, le categorie (e anche l’arte/scienza di compilarne, la tassonomia) hanno sempre attratto: dalle famose liste di Bouvard e Pècuchet a quelle di Fabio Fazio e Roberto Saviano durante Vieni Via Con Me. Le liste mettono in ordine (uno qualunque) idee e ricordi. Passato e futuro. Certezze e/o desideri.

(Ho letto finanche della lista delle canzoni del cuore di Angelino Alfano, quoque!)

Dalla playlist dell’iPod alle liste delle cose da fare (in gergo si chiamato Gtd, ossia got to do), da mettere in valigia o da comprare al supermercato. Dalla lista dei desideri per Babbo Natale a quella delle cose da salvare se bruciasse la nostra casa, con tanto di foto d’insieme, che è tanto di tendenza (sarà che si approssima il 2012. Mah). Sul valore imprescindibile delle liste che aiutano a vivere (o a sopravvivere) ci hanno fatto pure un film con la Sarah Jessica Parker, Ma come fa a far tutto.

C’è una lista o una playlist per tutto.

Dieci vini, dieci film, dieci libri, dieci canzoni da ricordare. Ecco, per esempio, sulle playlist personali dei Dj (categoria sociale poco indagata, per esempio) Stefano Piccirillo ci ha scritto un libro, 10 canzoni una vita (Ed. Emmebi). Divertente e piacevolissimo da leggere. Stefano ha uno stile scritto scorrevole, come il parlato in radio. Stefano Piccirillo – voce storica e portante di Radio KissKiss – è una specie di tornado: ha provato di tutto, dalla radio al cinema, dall’editoria alla tv. Ha condiviso i suoi tormenti in un precedente libro (La mia guarigione) e ora ritorna in libreria per raccontarci com’è la vita in radio.

10 canzoni una vita (Piccirillo lo definisce tranquillamente un romanzo) racconta di un viaggio nell’etere d’Italia, attraverso le storie e gli aneddoti raccolti da – e con  – tanti suoi amici speaker (ma anche giornalisti, autori, produttori, registi) radiofonici delle emittenti italiane.

Ci ho trovato nomi a me molto noti (Federico l’Olandese Volante, Pippo Pelo, Cristina Chiabotto, Dario Cassini, DJ Provenzano, Giancarlo Cattaneo, Marco Baldini) e altri che non ho seguito prima – ma che ora seguirò – descritti con amore e calore da Stefano, che li ha svelati attraverso spaccati di vita vissuta con ciascuno di loro. Il capitolo dedicato ad Antonio Girardi, per esempio, è anche pedagogico, oltre che pieno di riconoscenza: lo slattamento di un DJ ‘fuori sede’ (Stefano, cioè), dal caldo sud di una città chiassosa e colorata, al nebbioso nord di una valle. E impari a farti il bucato senza mammà, a cucinare senza avvelenare nessuno, a crescere insomma. Un Dj è umano, dopotutto, e tra Dj ci si aiuta innanzitutto (Last Night a DJ Saved My Life, non è così?)

È un romanzo, ma non completamente. Eppure, intriga e vuoi sapere cosa succede nel pezzo di strada che Stefano percorre con ognuno dei suoi amici-colleghi. Comprese le loro canzoni preferite, dieci per ciascuno, con motivazioni e dediche. Altrimenti che radio sarebbe? Scopri la vita segreta dei Dj d’Italia: il loro lato nascosto ai più, i guai e gli ostacoli del mestiere, i loro timori, anche quando sono ‘mentori’ o ‘fari’ per noi tutti, noi che stiamo al di qua del microfono in studio.

Stefano parla della radio attraverso coloro che la costruiscono quotidianamente, quasi come ‘operai’ che mettono assieme mattoni di musica con la malta dalle parole. La radio è un gran bel mondo, dove si è più intimi ed intimisti. Ti scopri a sorridere e sognare mentre guidi ascoltando, o quando ti riesce di non dormire e allora accendi la radio per uno di quei programmi notturni, pieni di caffè (e una volta anche di sigarette) e di malinconie varie. Ma dietro al microfono chi c’è? (Oddio, faccio inaspettatamente rewind e mi vengono in mente i Pooh! Vi ricordate In Diretta nel Vento?).

Ognuno ha la sua playlist, la sound-track della vita. La mia, per esempio, conta di più di mille canzoni (altro che dieci!), ed è stata compilata per la gran parte durante la mia adolescenza, quando anch’io ascoltavo e frequentavo le radio libere della mia città. Per un paio di generazioni (i baby-boomer beta e la Gen X, ovvero quelli nati tra il 1960  e il 1971) la radio è stata ciò che il web sembra ora per le nuove coorti di ragazzi: la libertà. Era usuale andare a trovare gli speaker durante le trasmissioni, magari avere l’onore di aiutarli con gli Lp, o magari farsi fare dediche e lasciare richieste dei compagni di scuola o delle zie. Chiedevi loro di non parlare sui pezzi, così da poterli registrare. E poi c’erano i quiz. Ancora conservo un trentatreggiri vinto (di un gruppo che non esiste più) e ogni qualvolta lo prendo tra le mani, mi autotrasporto all’indietro nel tempo.

All’epoca, gli speaker si chiamavano ‘conduttori’, alcuni li conoscevi tu, altri erano amici di qualcuno della tua ‘comitiva’ (eh sì, allora le ‘cerchie’ si chiamavano comitive). I conduttori erano personaggi popolari nella zona raggiunta dal segnale dell’emittente ed era un privilegio diventarne amici.

La radio per quelli come me e come Stefano (seppur dall’altra parte del filo d’aria) era la Verità, rispetto alla rigidità didattica della televisione (Capodistria e la libertà da venire si affacciava appena). Era la protesta, l’alternativa. Eugenio Finardi venne una volta a cantare nella palestra del mio liceo: erano i tempi della sua La Radio e di Extraterrestre. Ecco, io sono cresciuta con ‘quella’ radio e sono grata a Stefano per avermi riportato a quel magico periodo, quando tutto era possibile, compresi i sogni.

Poi? Poi è venuto il riflusso (ancora Finardi, nella sua Cuba), padre della precarietà di oggi. Il resto è cronaca.

(Ovviamente, scrivo questo pezzo rigorosamente durante l’ascolto la mia personale amarcord.)

E voi? Qual è la playlist della vostra adolescenza? Era radiofonica come la mia o è nata con il lettore mp3?

di Marika Borrelli

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