La Procura di Milano ha chiesto alla Camera dei Deputati di autorizzare il sequestro del pc che il deputato del Pdl Amedeo Laboccetta avrebbe, secondo gli inquirenti, portato via durante una perquisizione a Francesco Corallo, titolare della società Atlantis attiva nel gioco d’azzardo, nell’ambito dell’inchiesta dei pm Roberto Pellicano e Mauro Clerici su un presunto finanziamento irregolare di 148 milioni di euro da parte di Banca popolare di Milano (Bpm) che, più in generale, coinvolge anche l’ex presidente della banca Massimo Ponzellini, un suo collaboratore Antonio Cannalire e una terza persona. Nell’atto i pm sostengono che non ci siano elementi per ritenere che quel computer sia di Laboccetta.
Intanto ieri i pm hanno iscritto nel registro degli indagati sia Laboccetta che Corallo. La magistratura infatti contesta al parlamentare il reato di favoreggiamento e al titolare della Atlantis la falsa attestazione a un pubblico ufficiale di identità o qualità personali per un episodio collaterale che avrebbe compromesso le perquisizioni dello scorso 10 novembre della Guardia di Finanza (Gdf) a Roma, nell’appartamento in piazza di Spagna riconducibile a Corallo. Qui le Fiamme Gialle, come risulta da una loro informativa, si sono presentate alle 9 di mattina ma sono state inizialmente bloccate sul pianerottolo perché il titolare di Atlantis ha fatto valere la sua presunta immunità diplomatica sostenendo di essere ambasciatore per la Fao in Italia della Repubblica caraibica di Dominica, carica che qualche giorno dopo la stessa Fao ha negato di avergli mai attribuito. Dopo di che nell’abitazione-ufficio, mentre già si trovavano Corallo, quattro avvocati e una collaboratrice sudamericana, è arrivato anche il senatore Laboccetta il quale, quando finalmente è stata fatta entrare la Guardia di Finanza, ha impedito il sequestro di un computer portatile e, sostenendo di esserne il proprietario, se l’è portato via senza nemmeno dare il tempo di segnare il codice identificativo.
Una vicenda che ha lasciato sbalorditi investigatori e inquirenti. I pm, dopo aver raccolto tre versioni diverse su quanto accaduto e gli esiti di una serie di accertamenti, hanno deciso di iscrivere i due nel registro degli indagati e, cosa che avverrà nelle prossime ore, di trasmettere per competenza gli atti di questo troncone di inchiesta a Roma.
E sul punto il deputato continua a ribadire la proprietà del computer e il suo diritto di sottrarlo alle indagini: “Non ho nulla da nascondere, che si voti pure per l’autorizzazione. Sono sereno, perché non ho commesso alcun reato: sono andato via col mio pc”. E ancora: “Quello che dico io è la verità. Durante la perquisizione, avevo dato la disponibilità a prendere atto del contenuto in quella sede, come aveva fatto l’amico Corallo, ma – ha proseguito Laboccetta – visto che mi era stato detto che si doveva portare via per forza, allora no. C’era una violazione formale e sostanziale del diritto”.
Intanto Laura Garavini, capogruppo Pd nella Commissione parlamentare Antimafia, ha chiesto che Laboccetta lasci la stessa Commissione: “La gravità del suo gesto era apparsa fin da subito – ha spiegato Garavini in una nota – e, secondo quanto riportano le agenzie di stampa, la sua posizione si sarebbe ulteriormente aggravata. Sarebbe opportuno un suo gesto autonomo e rispettoso dell’attività della Commissione, in caso contrario sottoporremo la questione al presidente Pisanu”.