Due ore d’interrogatorio al quarto piano della procura di Milano. Nell’ufficio del sostituto procuratore Luigi Luzzi, anche il collega di Busto Arsizio. Sul tavolo un verbale. In calce la firma di Frediano Manzi, presidente dell’associazione Sos Racket e usura che da oggi risulta indagato per incendio doloso in concorso con un pregiudicato. Motivo: aver partecipato a due attentati ai danni di un chiosco e di un mezzo di sua stessa proprietà. La notizia era già stata rilanciata questa mattina dall’agenzia Ansa che però non dava conto del reato contestato. Di seguito, lo stesso lancio dava spazio alla posizione di Manzi che prometteva: “Spiegherò le motivazioni di questo mio coinvolgimento”. Un’occasione per “dimostrare con i fatti che nei miei confronti e della mia famiglia si è volutamente tenuto un livello basso di attenzione delle forze dell’ordine anche a causa delle pesantissime denunce ed inchieste in questi ultimi due anni portate avanti con onore dalla associazione”.
Non c’era il reato, dunque, ma la motivazione sì. Ed è la stessa che Manzi questa sera ha ribadito davanti ai pm. Non prima di aver raccontato i fatti. E i fatti messi in fila in un verbale di poche pagine raccontano di due attentati incendiari subiti da Manzi, ma ai quali lo stesso presidente dell’associazione ha partecipato. Da qui le accuse di incendio doloso in concorso, detenzione di materiale esplodente e simulazione di reato. Gli episodi riguardano l’incendio di un chiosco di fiori a Nerviano avvenuto nel 2009 e l’esplosione di un mezzo a Caronno Pertusella nel 2010.
Durante le due ore d’interrogatorio si è discusso anche del ruolo di Manzi come mandante degli attentati. In realtà la posizione dell’indagato appare diversa. In sostanza, a quanto sostiene il comunicato stampa diffuso dal suo legale Roberto Falessi, “Manzi ha ammesso la sua responsabilità in concorso con l’autore materiale”. Si tratta di un pregiudicato con precedenti per rapina e che si trovava in carcere quando ha ricevuto l’avviso di garanzia per uno dei due episodi incendiari. Naturalmente l’uomo ha agito sotto pagamento di denaro. Richieste di soldi che col tempo sono aumentate. Nei confronti di Manzi il ricatto di andare a a raccontare tutto alle autorità giudiziarie.
Lo stesso Manzi, durante l’interrogatorio, ha tentato di spiegare le motivazioni del suo gesto. Motivazioni che pescano nello stato d’animo di una persona che dopo anni di battaglie contro il racket e la mafia al nord, si è sentita abbandonata dalle istituzioni. Una solitudine che viene ribadita dal consigliere regionale di Sel Giulio Cavalli. “Il nodo della solitudine – commenta il politico lombardo – resta e va valutato dal punto di vista della sicurezza personale”. Dopodiché sul dato di cronaca Cavalli si dice “contento che Manzi abbia deciso di dire la verità”. Quindi spiega: “Io ero a conoscenza di questi episodi e ne ho anche parlato nelle sedi competenti”. Sinceramente “sconcertato” si definisce invece il deputato Pd Emanuele Fiano. “Sconcertato – ribadisce – nel trovarmi davanti all’idea di un Manzi vittima e un Manzi reo confesso. Resto comunque fiducioso nell’operato della magistratura”.
Il problema della sicurezza personale resta un dato che lo stesso presidente dell’Associazione Sos Racket e Usura ha ribadito ieri in un esposto depositato al sostituto procuratore della Dda Antonio Sangermano. Sei pagine in cui si fa la conta delle minacce subite negli anni. Almeno otto episodi. E si fa riferimento alle battaglie portate avanti. E, in qualche caso, vinte. Quella che riguarda lo stesso ex prefetto Carlo Ferrigno che proprio ieri ha patteggiato la condanna per millantato credito e prostituzione minorile . Ma anche l’inchiesta sul racket delle case popolari o ancora gli appalti Aler per i quali è attualmente indagato Marco Osnato esponente del Pdl milanese nonché genero di Romano La Russa. E ancora: la battaglia sulle infiltrazioni mafiose nella cava di Bollate e le tante minacce subite anche davanti alle stesse forze dell’ordine.
Insomma, riprendendo il commento di Fiano, appare difficile capire quale sia il vero Manzi. Quello che lotta e sale sulle barricate, anche a scapito della sua vita personale, per combattere il racket, o quello che si tiene in tasca un reato, edulcora una prima versione e solo dopo aver ricevuto un avviso di garanzia si accomoda davanti al magistrato per confessare e assumersene le responsabilità.