A leggere la sentenza con la quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha appena, definitivamente, stabilito che è incompatibile con il diritto dell’Unione ordinare a un internet service provider di adottare dei filtri per limitare la circolazione di contenuti protetti da diritti d’autore, si ha un’importante conferma della crassa ignoranza – in termini di tecnologia e diritto – e grave dipendenza dalle lobby dei titolari dei diritti di taluni parlamentari italiani.
Come è noto, infatti, pendono, allo stato, nel nostro Parlamento ben tre disegni di legge gemelli attraverso i quali si propone appunto di obbligare – addirittura per legge – tutti gli internet service provider ad adottare adeguati dispositivi di filtraggio idonei a prevenire eventuali violazioni di diritti di proprietà intellettuale e industriale. Si tratta esattamente della pratica che i Giudici della Corte di Giustizia dell’Unione europea considerano vietata.
“Le direttive Ue [quelle in materia di diritto d’autore, privacy e e-commerce, ndr] lette in combinato disposto e interpretate tenendo presenti le condizioni derivanti dalla tutela dei diritti fondamentali applicabili, devono essere interpretate – scrivono i magistrati della Corte – nel senso che ostano all’ingiunzione a un fornitore di accesso a Internet di predisporre un sistema di filtraggio: di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, in particolare mediante programmi «peer-to-peer»; che si applica indistintamente a tutta la sua clientela; a titolo preventivo; a sue spese esclusive, e senza limiti nel tempo, idoneo ad identificare nella rete di tale fornitore la circolazione di file contenenti un’opera musicale, cinematografica o audiovisiva rispetto alla quale il richiedente affermi di vantare diritti di proprietà intellettuale, onde bloccare il trasferimento di file il cui scambio pregiudichi il diritto d’autore”.
Il presupposto dal quale la Corte di Giustizia è partita per arrivare a tale conclusione è tanto ovvio ed elementare da risultare difficile credere che possa essere sfuggito ai nostri Parlamentari: la sacrosanta tutela dei diritti d’autore non può giustificare il travolgimento di altri diritti e libertà fondamentali di cittadini e imprese dell’Unione Europea quali il diritto alla privacy, la libertà di manifestazione del pensiero e quella di impresa.
Tali diritti e libertà, per contro, rischiano di essere travolti in nome del diritto d’autore laddove si chieda ai gestori delle autostrade dell’informazione di filtrare i contenuti di cittadini e utenti a caccia di contenuti che si sospettano pubblicati in violazione del diritto d’autore.
Le ragioni sono a dir poco intuitive: i filtri determinano una limitazione della libertà di comunicazione tra gli utenti, implicano che l’intermediario tratti – in modo più o meno consapevole altrui dati personali – e, soprattutto, impongono all’intermediario stesso di farsi carico di costi e attività che non gli competono e che rischiano di incidere sulla propria libertà di impresa.
Indirettamente, quindi, la Corte di Giustizia ha bacchettato il nostro legislatore e quanti – e sono tanti – in Italia hanno sin qui propugnato l’idea secondo la quale sarebbe onere degli intermediari della comunicazione fermare i cosiddetti pirati.
Oltre il diritto d’autore c’è di più, sembra finalmente ricordare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.