Il 25 luglio Vittorio Petronella, 71 anni, a bordo della sua auto inseguì, travolse e uccise Sandro Mosele, che era in sella a un motorino. Il gip decise di tenerlo in carcere ritendolo "socialmente pericoloso". Accusato di omicidio volontario aggravato dai futili motivi era passato sul corpo del motociclista ''senza fermarsi''
A luglio il gip di Milano Enrico Manzi aveva deciso di tenerlo in carcere nonostante l’età. Oggi il pm Antonio Sangermano ha chiesto al gup Donatella Banci Buonamici una condanna a 18 anni di reclusione. E questa sera la sentenza è arrivata: 16 anni di carcere per omicidio volontario. Si tratta di Vittorio Petronella, il pensionato che quattro mesi fa, in via Andrea Doria, dopo una lite, a bordo della sua auto inseguì, travolse e uccise Sandro Mosele, che era in sella al suo scooter. L’uomo, giudicato con rito abbreviato, è stato riconosciuto colpevole. Per lui, come aveva chiesto il pm, è venuta meno l’aggravante dei futili motivi.
Ai familiari che si sono costituiti parte civile, è stata riconosciuta una provvigionale di 75mila euro, mentre il risarcimento verrà determinato in un separato giudizio civile. “Siamo soddisfatti per la sentenza perché è stato riconosciuto l’omicidio volontario”, si sono limitati a dire i parenti della vittima. In aula l’imputato ha ripetuto la sua versione dei fatti e ha spiegato al giudice che non aveva intenzione di uccidere il motociclista e che comunque, come sostiene la difesa, non avrebbe urtato il 35enne, a differenza di quanto hanno dichiarato alcuni testimoni ascoltati dagli inquirenti dopo l’episodio. L’impatto fra l’auto di Petronella e lo scooter è al centro di una perizia depositata oggi dai legali dell’imputato.
Il gip Manzi aveva interrogato Petronella il 27 luglio. Secondo il giudice, il pensionato era passato sul corpo del motociclista ”senza fermarsi”, mostrando una chiara volontà di uccidere e l’intenzione di fuggire dopo il fatto, non assumendosi in alcun modo la responsabilità dei suoi gravissimi gesti, malgrado ci siano una serie di testimonianze che lo ‘inchiodano’. Per questi motivi l’uomo, ritenuto dal gip ”socialmente pericoloso”, doveva rimanere in carcere, nonostante i 71 anni di età. Di fatto il giudice aveva accolto in pieno l’impianto accusatorio formulato dal pm Antonio Sangermano, che coordina l’inchiesta, ordinando che Petronella, ex dirigente commerciale di un’azienda, restasse a San Vittore con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi. La legge prevede che per gli ultrasettantenni non si possa disporre il carcere, se non in casi di eccezionale gravità. E il giudice aveva ritenuto che questo fosse uno di quei casi, valutando anche come ”eccezionalmente pericoloso” il comportamento di Petronella.
Stando alle indagini, il 25 luglio, verso le 15:30, Petronella e il motociclista, Alessandro Mosele, 35 anni, avevano litigato al semaforo tra viale Doria e via Palestrina, perché il pensionato avrebbe tagliato la strada al ‘centauro’. Tra i due erano volati sputi e insulti e l’anziano aveva deciso di inseguire Mosele anche contromano in viale Doria, fino a che non lo aveva centrato in pieno con la sua macchina. L’uomo aveva tentato di resistere aggrappato alla targa dell’auto e poi era finito sotto le ruote. Davanti al gip, Petronella, assistito dall’avvocato Pier Paolo Pieragostini, lo aveva descritto come un ”tragico incidente”, ribadendo di aver ”perso la testa nell’inseguimento”, ma che la sua intenzione non era di uccidere. E spiegando, inoltre, di essersi ritrovato il motociclista davanti all’auto, dopo che probabilmente lui aveva colpito un cordolo sbandando, e di non aver potuto evitarlo. Tesi che non ha convinto affatto il giudice che, nel suo provvedimento, aveva fatto riferimento a quattro testimonianze di persone che erano in strada quel giorno e che avevano parlato tutte in modo chiaro dell’auto del pensionato lanciata di proposito contro il motociclista. Il gip, inoltre, aveva valutato che Petronella, dopo aver colpito la moto, non si fosse fermato e fosse passato sopra il corpo di Mosele, addirittura accelerando, come riportano alcune testimonianze, e poi ‘abbozzando’ una fuga.