Diritti

Il ritardo dell’Italia sui diritti dell’infanzia

Da una settimana in tutta Italia, tra l’indifferenza generale dei media, si celebrano convegni sul ventiduesimo anniversario della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, una Carta sottoscritta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 e ratificata dall’Italia il 5 settembre 1991, vent’anni fa. Vent’anni trascorsi inutilmente o quasi, visto che anche questo documento, come tanti altri, da elenco di principi inderogabili sulla condizione dei minori si è trasformato nella solita dichiarazione d’intenti da rispolverare una volta l’anno, buona per le commemorazioni di rito, per le passerelle delle autorità, senza badare troppo alla sostanza.

Eppure nei suoi 54 articoli di sostanza ce n’è. Dal diritto all’educazione, al principio della non-discriminazione, secondo il quale ai minori devono essere garantiti i diritti della Convenzione senza distinzione di razza, sesso, lingua e religione; dalla lotta allo sfruttamento al diritto del bambino disabile a “godere di una vita soddisfacente che garantisca la sua dignità, che promuova la sua autonomia e faciliti la sua partecipazione attiva alla vita della comunità”. Chi ogni giorno opera nel mondo del volontariato e della solidarietà scorre le pagine della Carta con un sorriso amaro, sapendo bene che al di là di alcune leggi importanti che in questi anni sono entrate in vigore, buona parte degli articoli sono rimasti inevasi o comunque impantanati in una ristagnante genericità.

A vent’anni dalla ratifica (approvata sotto il VII governo Andreotti, tanto per dire) manca ancora un Garante nazionale dell’Infanzia, figura che il Consiglio Europeo richiede dal 1996. A dirla tutta nell’ultima legislatura qualcosa è stato fatto. Dopo la bocciatura nell’ottobre del 2008 del primo ddl Carfagna, che voleva imporre un organismo svuotato del profilo minimo di autonomia, in contrasto con tutte le normative internazionali, il 22 giugno un nuovo disegno di legge ha ottenuto il via libera di Camera e Senato. Ora il rischio è che con il nuovo esecutivo impegnato notte e giorno a spegnere l’incendio dei mercati, la nomina finisca di nuovo nel dimenticatoio.  Sarebbe uno dei pochi casi in cui in Italia c’è la poltrona ma manca il titolare.

Per evitare ulteriori ritardi, la settimana scorsa 27 associazioni Ong – dall’Unicef a Save the Children – hanno lanciato un appello  al governo Monti perché applichi la convenzione. Ma è difficile che l’agenda del professore ammetta deroghe al fitto calendario imposto dalla Bce. La palla ora passa a Schifani e Fini, da regolamento infatti la designazione spetta ai presidenti delle Camere.

Mi sembra chiaro che con l’attuale quadro politico ed economico la nomina sia più difficile – spiega Franco Alvaro, coordinatore nazionale dei garanti regionali – Noi però come Conferenza dei garanti abbiamo già preparato un’agenda abbastanza impegnativa che prevede un rafforzamento delle leggi regionali sull’infanzia”. Sui candidati per il posto di garante nazionale, Alvaro non si sbilancia. Qualcuno fa il nome di Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro. “Sarebbe un buon candidato. Di sicuro non deve essere nominato un politico o un ex politico, su questo punto la legge è molto chiara”. E forse è proprio per questo che nessuno ha interesse a rendere  la designazione esecutiva.