Il 19 aprile 1970 fu per Termini Imerese un giorno di festa. Dai cancelli dello stabilimento della Fiat, anzi della Sicilfiat, usciva la prima vettura prodotta: era naturalmente una Cinquecento. L’inizio, scrissero allora i giornali, di una scommessa che dava un senso concreto al sogno di industrializzazione in una terra legata all’economia agricola.
La costruzione dello stabilimento era cominciata nel 1968 sulla spinta delle lotte operaie e sindacali. Ma decisiva era stata, nell’arrivo della casa torinese, l’amicizia dell’avvocato Giovanni Agnelli con Mimì La Cavera, ex presidente della Confindustria siciliana che, a partire dal 1958, si era posto come un ponte tra il mondo dell’imprenditoria e i partiti di sinistra. E proprio da sinistra l’apertura della fabbrica venne salutata con entusiasmo. Veniva vista come un passo del processo di modernizzazione della Sicilia e una grande occasione per fermare l’emigrazione verso il Nord. Non a caso la maggior parte dei 350 dipendenti era stata reclutata tra i contadini e gli artigiani del comprensorio di Termini e dei paesi delle Madonie.
Da quella prima Cinquecento la fabbrica fece molta strada. Qui si sono prodotti i modelli più popolari della casa torinese come la 126, la Panda, la Punto, fino alla Lancia Ypsilon di cui esce oggi l’ultimo esemplare.
Il nome di Sicilfiat era stato scelto perchè la Regione Sicilia deteneva il 40 per cento del capitale: rappresentava per Agnelli una garanzia. Ma l’intervento pubblico cessò quasi subito: già il primo novembre 1970 lo stabilimento era tutto della Fiat. La fabbrica è presto diventata un modello produttivo, come riconosceva fino a qualche tempo fa anche Marchionne, tanto che i dipendenti erano già 1.500 quando, nel 1979, è entrata in produzione la Panda. Si lavorava su tre turni e nella seconda metà degli anni ’80 Termini occupava 3.200 operai, oltre i 1.200 nelle aziende dell’indotto.
La crisi però è cominciata nel 1993 quando, con la produzione della Tipo, è arrivata anche la cassa integrazione. Il numero dei lavoratori scese. Nel 2002 furono licenziati 223 dipendenti. Si prospettò la chiusura. Le lotte operaie, che ebbero grande sostegno, salvarono la fabbrica. Ma il declino era ormai cominciato. I dipendenti scesero a 1.536, quelli dell’indotto a circa 800. L’annuncio della chiusura sarebbe arrivato di nuovo l’anno scorso. E stavolta definitivamente.