Il documento preparato dalla Protezione civile e approvato a settembre da Berlusconi "non permette di utilizzare i fondi", causa patto di stabilità. Intanto le associazioni ambientaliste denunciano che il progetto del Ponte sullo stretto, se mai si farà, prevede il deposito di milioni di metri cubi di terra nelle zone a rischio idrogeologico del messinese
L’Italia frana e la politica risponde con il cemento e l’incompetenza. Sembra un paradosso e, invece, accade nei territori più a rischio e già colpiti da eventi alluvionali che hanno travolto cose e persone. Negli ultimi giorni il nostro paese ha subito nuove ondate di piogge che hanno piegato Calabria e Sicilia. Proprio sull’isola, nel 2009 i comuni a sud di Messina patirono la violenza dell’alluvione con 37 morti e danni ingenti, e il governo promise interventi. Giampilieri, Scaletta si trasformarono in paesi fantasma, coperti dal fango.
La beffa è arrivata nei giorni scorsi, gli abitanti di quei territori non vedranno neanche un euro per le devastazioni subite e la messa in sicurezza delle aree colpite. Un errore nell’ordinanza della protezione civile, firmata dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi, lo scorso 2 settembre, ha vanificato lo stanziamento previsto di 160 milioni di euro per i comuni di Giampilieri e della zona dei Nebrodi. Il capo del dipartimento della protezione civile Franco Gabrielli ha confermato alla Gazzetta del Sud: “ Gli obiettivi fissati dal patto di stabilità per l’anno 2011 della regione siciliana non consentono al dipartimento regionale della Protezione civile, che funge da struttura di supporto al commissario, governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, di utilizzare le somme stanziate dall’ordinanza in questione”.
Roba da ridere se non fosse che famiglie piangono morti e territori attendono fondi e risposte. Alla legittima richiesta di modificare l’ordinanza, la Ragioneria dello Stato avrebbe risposto picche: “Impossibile cambiarla”. I fondi sono stati così bloccati. Un paese fragile, con il 70% dei comuni a rischio idrogeologico, dovrebbe investire in sicurezza e ripristino dei territori. Un indirizzo diverso quello assunto dal comune di Messina. Nell’ultima conferenza di servizi, svoltasi a Roma nella sede del Ministero delle infrastrutture, in merito alla realizzazione del Ponte sullo stretto, il comune di Messina, denuncia il Wwf, avrebbe chiesto nell’ambito delle “opere compensative” la tombinatura delle fiumare Papardo e Annunziata. Sotterrare i rivoli, i canali che, in caso di piogge intense, non troverebbero sbocchi come ricordano le immagini di una Genova devastata.
Ma non basta. Un ulteriore colpo all’equilibrio precario di una terra, bisognosa di cura, ma ricoperta solo di cemento, potrebbe arrivare proprio dalla realizzazione del Ponte sullo stretto. Il pericolo si nasconde in un elaborato di progetto con codice” cz002″. Le associazioni ambientaliste (Wwf, Legambiente, Italia Nostra, Man) analizzando il progetto hanno scoperto che saranno quasi dieci milioni di metri cubi i materiali di scavo che saranno depositati in Sicilia. Quasi tre milioni saranno collocati in aree di impluvio. Cioè in zone che dovrebbero restare libere piuttosto che ingolfate creando tappi artificiali pronti ad esplodere in caso di piogge, ormai sempre più frequenti. Quasi 6 milioni di metri cubi sarebbero destinati a siti di riqualificazione ambientale, diversi dei quali sono aree di impluvio tra strade e case.
Alcuni siti, classificati come Sra1, Sra2 e Sra3 dovrebbero vedere a monte delle abitazioni in aree di naturale scorrimento delle acque piovane, con canali che scendono a valle, rispettivamente il collocamento di 140 mila metri cubi, 2 milioni di metri cubi e 720 mila metri cubi. Una soluzione che le associazioni definiscono “irresponsabile”. “ Piazzare tali quantitativi di terre – denuncia il Wwf Italia – in aree dove le acque dovrebbero poter scorrere senza trovare ostacoli di alcun genere, in modo che non provochi danni, significa mettere a repentaglio la vita di migliaia di persone che vivrebbero con l’incubo di possibili colate fangose”. L’Italia che promette interventi di ripristino ambientale e lotta al dissesto idrogeologico poi sceglie sempre la stessa ricetta: incompetenza e cemento, in attesa di nuove tragedie.
di Ferruccio Sansa e Nello Trocchia