Politica

La politica oltre il baratro

Quando Indro Montanelli vaticinò del regime di B., della sua lunga durata e dell’unico modo di uscirne – toccare il fondo – molti, troppi, lo giudicarono un pessimista vittima di pregiudizi, una sciocca Cassandra. Mi piacerebbe credere nella vita ultraterrena solo per godere con lui per come i fatti, testardi – diceva Lenin –, gli hanno dato ragione.

Sull’orlo della bancarotta ci siamo fermati; i delinquenti incapaci e rozzi, privi di ogni competenza, che hanno occupato per così tanti anni le istituzioni e, conseguentemente, il paese, sono stati cacciati e le rovine che hanno lasciato sono finite nelle mani di Monti e dei suoi tecnocrati. Speriamo bene. Ma comunque è già un successo che, invece di riderci dietro (e per la verità anche davanti), adesso l’Europa ci invita a discutere delle misure da adottare. Fossi in B. mi vergognerei come un ladro (così dicevano le nostre mamme; ma è un fatto che i ladri non si vergognano più da tanto tempo).

Ma l’uscita dal baratro non sarà ricordata solo perché, forse, l’Italia riuscirà a evitare decadenza, povertà, disordini e guerra civile (questo succede quando i soldi finiscono e i cittadini non riescono più a comprare il pane e a riscaldarsi in inverno). Sarà ricordata perché, finalmente, avrà segnato la fine della politica nella sua degenerazione tipicamente italiana. Per la prima volta un governo già snello di suo (12 ministri, quelli che servono, non uno di più) ha sbattuto la porta in faccia ai partiti: adesso c’è da costruire la manovra finanziaria prima del Consiglio d’Europa dell’ 8 dicembre, non abbiamo tempo di occuparci dei sottosegretari, delle vostre lottizzazioni e mangiatoie; e comunque sia chiaro: vogliamo tecnici, persone esperte e competenti; di ginecologi Udeur non sappiamo che farcene. Fantastico.

Il fatto è che, siccome i partiti nemmeno lo capiscono questo linguaggio e continuano a pensare che il paese deve servire alla politica e non che la politica deve servire al paese (vi ricordate Crosetto? “Se approviamo questa manovra finisce che perdiamo le elezioni”), succede che spiegano a Monti come servano persone esperte di meccanismi parlamentari, delle “scaltrezze delle Commissioni”, di burocrazie e prassi. Servirebbe, secondo loro, un raccordo tra governo e Parlamento, in altre parole tra governo e partiti. Insomma, va bene salvare l’Italia, ma la politica ha le sue leggi e bisogna tenerne conto.

Spero che la terapia Montanelli sia lunga; almeno quanto basta perché i cittadini si rendano conto che è ridicolo affidare le sorti del paese a uno Scilipoti con il lutto al braccio; che la politica è una scienza, che si deve imparare, e non un modo per vivere senza lavorare (nel migliore dei casi) o per delinquere e arricchirsi impunemente (nel peggiore e molto diffuso). Spero che arrivino a capire che, come nessuno può diventare medico, ingegnere, magistrato (e tante altre cose) senza studi regolari, esami e correlativi diplomi, così nessuno dovrebbe esercitare la professione di “politico” (che vuol dire gestire lo Stato) solo per esperienza pratica, militanza nei partiti, tirocini da portaborse (di nuovo nel migliore dei casi) o per ricchezza, spregiudicatezza e legami criminali.

Ecco perché il governo Monti è un governo molto più “politico” di quanto siano mai stati i precedenti: perché questo amministra il paese; e gli altri amministravano se stessi.