In attesa di sapere quando e in che condizioni l’Italia tornerà a votare i propri rappresentanti, pochi credono che l’attuale Parlamento riuscirà a varare, entro questa legislatura, una nuova legge elettorale. Da anni le forze politiche presenti alla Camera e al Senato esprimono l’intenzione di modificare il Porcellum, ma evidentemente non sono in grado di trovare un accordo trasversale.

Il perché è noto: il Pdl e Fini vorrebbero il bipolarismo ma anche il presidenzialismo; la proposta di legge elettorale votata dall’Assemblea nazionale del Pd è il doppio turno francese (maggioritario), ma il partito in realtà è diviso tra bipolaristi come Veltroni-Parisi-Prodi e sostenitori del sistema elettorale tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento) come D’Alema. Quest’ultimo, pur avendo sempre sostenuto il sistema francese, ritiene che sarebbe più opportuno “accontentarsi” del sistema tedesco per facilitare un accordo di governo (post elettorale?) con l’Udc di Casini e il neonato Terzo Polo. Anche la Lega è propensa ad un sistema proporzionale, ma in questi anni ha preferito glissare per non mettere in crisi l’alleanza con il Pdl: ora che l’alleanza è rotta, chissà… L’Italia dei Valori, pur avendo sostenuto il referendum anti-Porcellum, in tema di riforme istituzionali ha idee piuttosto confuse. Obiettivo dichiarato dei referendari era il ripristino della precedente legge elettorale, il Mattarellum (75% eletti in collegi uninominali, 25% eletti col proporzionale). Infine ci sono i nostalgici del proporzionale (per esempio Rifondazione Comunista), convinti che la deriva plebiscitaria ed anticostituzionale degli ultimi 20 anni sia dovuta, oltre che al berlusconismo, anche al cambiamento della legge elettorale seguito al referendum promosso da Mario Segni nel 1993. Alcuni vorrebbero la reintroduzione delle preferenze; altri propongono, in alternativa, l’introduzione dell’obbligo di primarie di collegio per la scelta dei candidati da mettere in lista.

Ammettiamolo: il “dibattito”, posto in questi termini, non è particolarmente accattivante. Il “riformismo” degli anni ’90/00 non ha risolto nessuno dei problemi storici dell’Italia: né la moltiplicazione di partiti e partitini, né la famigerata “governabilità”.

Anche se la recente raccolta di firme per il referendum elettorale ha avuto un grande ed inatteso successo – a prescindere dal merito: anche il referendum del proporzionalista Passigli avrebbe avuto lo stesso successo, cavalcando la campagna anti-Porcellum -, molti ritengono che a gennaio la Consulta boccerà almeno uno dei due quesiti, con il rischio che ogni velleità di riforma venga rimandata alle calende greche, onde evitare ulteriori problemi al governo Monti.

Tanto per cambiare la confusione è grande sotto il cielo. È improbabile che i cittadini italiani, già alle prese con le conseguenze drammaticamente concrete del malgoverno (di Berlusconi) e della crisi internazionale, si appassionino ad una discussione politologica su questa o quella legge elettorale.

Forse sarebbe più utile aiutare gli elettori a comprendere gli aspetti ideologici, prima ancora che tecnici, che sono alla base dell’attuale legge elettorale e, più in generale, del panorama politico italiano. In molti abbiamo ascoltato e condiviso le critiche alle liste bloccate e al premio di maggioranza. Ma il Porcellum contiene anche un altro elemento distorsivo, meno sconosciuto ma non meno censurabile: l’obbligo di indicare in ogni lista il “Capo della Coalizione”. Siamo talmente abituati a leggere il nome dei “leader” all’interno dei simboli elettorali che la consideriamo una cosa normale. Invece no. Si tratta di una vera e propria forzatura politico-istituzionale: dato che, Costituzione alla mano, il Presidente del Consiglio lo nomina il Presidente della Repubblica (e deve ricevere la fiducia del Parlamento), introducendo quell’obbligo nella legge elettorale Calderoli & co. hanno voluto arginare l’ostacolo costringendo centrodestra e centrosinistra a radunarsi intorno ad un nome. Fateci caso: tra i principali partiti presenti dal 2008 in Parlamento non ce n’è uno che non contenga il cognome del proprio leader nel simbolo: Pdl (Berlusconi), Lega (Bossi), Udc (Casini), Fli (Fini), Idv (Di Pietro), Pd (Veltroni); anche Sel, pur essendo rimasta fuori dal Parlamento, si aggrappa al cognome Vendola. Per non parlare del Movimento 5 stelle che senza il nome di Beppe Grillo nel proprio simbolo perderebbe non pochi consensi.

Forse il primo obiettivo di chi non vorrebbe morire né democristiano né berlusconiano dovrebbe essere quello di affrontare il nodo del leaderismo. A questo proposito nei giorni scorsi Raniero La Valle, presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione, sta divulgando un appello “contro il culto della personalità nei simboli elettorali”. Obiettivo: vietare l’utilizzo di nomi e cognomi all’interno dei simboli di liste e partiti. Ecco il testo integrale e l’indirizzo email a cui è possibile inviare la propria adesione.

I Comitati Dossetti per la Costituzione si rallegrano per la successione di governo da Berlusconi a Monti, che chiude un periodo in cui la Costituzione repubblicana è stata esposta a un rischio mortale, quale Giuseppe Dossetti aveva denunciato fin dal suo insorgere nel 1994, e propongono alla firma il seguente

APPELLO

Per mettere al riparo il sistema democratico dai mali contratti in questi anni e soggetti ad aggravarsi al di là della stessa persona del premier sconfitto, noi chiediamo che nella prossima riforma della legge elettorale, oltre al ripristino della scelta dei rappresentanti da parte dei cittadini e a una riforma equilibratrice dell’esorbitante premio di maggioranza previsto per la Camera, venga incluso il divieto di contrassegni di lista recanti un nome di persona. L’esperienza ha dimostrato come abbia alterato la qualità della vita democratica la personalizzazione della lotta per la guida politica del Paese, basata sul pregiudizio ideologico secondo cui il capo politico incorporerebbe in sé tutto il popolo, quando invece questo nella varietà dei suoi interessi e dei suoi ideali è pienamente rappresentato solo dal Parlamento. La mancanza di un nome nel simbolo non significa sottrarre al popolo la scelta del governante migliore possibile, ma significa che il governo della legge e non il governo degli uomini d’eccezione è il connotato della democrazia. Resta infatti la verità del detto attribuito a Socrate da Platone nella “Repubblica”, e ricordato da Kelsen a suffragio della tesi che “la democrazia è un regime senza capi”: alla domanda su come in uno Stato ideale dovrebbe essere accolto un uomo dotato di qualità superiori, un “genio”, il filosofo greco rispondeva: “Noi l’onoreremmo come un essere degno di adorazione, meraviglioso ed amabile, ma dopo avergli fatto notare che non c’è uomo di tal genere nel nostro Stato e che non deve esserci, untogli il capo e incoronatolo, lo scorteremmo fino alla frontiera”.

La rinunzia al proprio nome nel contrassegno di lista rappresenterebbe per i leaders politici quel “passo indietro” che per il ripristino della pienezza democratica, come si è ritenuto, era richiesto non solo a Berlusconi, e sarebbe una convalida degli art. 49 e 67 della Costituzione secondo i quali a tutti i cittadini tocca concorrere a determinare la politica nazionale e i parlamentari non sono gravati da vincolo di mandato; il continuo richiamo a un’investitura popolare del capo ha infatti determinato nel senso comune la convinzione che i membri del Parlamento dipendano da un mandato imperativo dato dall’alto, al punto che sono stati accusati di tradimento quei membri della maggioranza che hanno fatto venir meno, come è del tutto legittimo, il loro voto al governo, e che sia stato bollato come “golpe” qualunque tentativo del Parlamento di stabilire una diversa guida richiesta dal Paese.

I firmatari di questo appello ricordano inoltre la natura politica e non tecnica del risanamento necessario delle finanze pubbliche, che dovrà avvenire salvaguardando i soggetti più deboli, con prestazioni patrimoniali non imposte se non in base alla legge, con criteri di progressività, senza distorsioni elettoralistiche, promuovendo l’occupazione e mirando a un incremento a beneficio di tutti delle ricchezze del Paese, a norma degli art. 23, 35, 37, 41, 53 e 75 della Costituzione.

Raniero La Valle, prof. Luigi Ferrajoli, prof. Mario Dogliani, Domenico Gallo, prof. Umberto Allegretti, prof. Gaetano Azzariti, prof. Alfonso Di Giovine, prof. Alessandro Pizzorusso, Alessandro Baldini, Francesco Di Matteo, Maurizio Serofilli, Enrico Peyretti.

Le firme possono essere inviate a: comitatidossetti@tiscali.it

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