Mi occupai di Wall Street e di Piazza Affari. Erano gli anni in cui in banca entravano pensionati, casalinghe, liberi professionisti, dipendenti pubblici in mutua, studenti fuoricorso, commercianti in pausa pranzo, geometri, impiegati rampanti e non, astenersi perditempo, gente di tutti tipi, insomma.
Entravano in banca, qualcuno già con Il Sole 24 Ore o Milano Finanza sottobraccio, qualcuno che invece te lo chiedeva: “C’ha Milano Finanza? C’ha Il Sole 24 Ore?” Poi aprivano la pagina delle quotazioni e puntavano il dito, i più con atteggiamento da esperto, da intenditore, forti di ore di duro lavoro davanti al televideo, o di professionali conversazioni col cognato, il genero, il suocero, eccetera. Alcuni, i più onesti, puntavano il dito anche loro a caso, ma lo dicevano che era a caso, e ridevano. Poi tornavano qualche giorno dopo e vendevano e guadagnavano.
Anche io una volta l’ho fatto, ho comprato delle azioni senza sapere quello che facevo, consigliato da un amico che se ne intendeva, lui sì, veramente (infatti di solito non dava mai consigli a nessuno). Quelle azioni, quotate sul Nasdaq, le comprai spendendo due milioni e mezzo. Dopo pochi mesi (un paio se non ricordo male) valevano ventotto milioni. Lo raccontai a un collega che mi disse: “Vendile!” Ma io, atteggiandomi da esperto, rispondevo: “Le venderò quando arriveranno a cento”.
E mi sentivo come se avessi avuto in mano i numeri giusti del Superenalotto, senza i soldi per giocare la schedina però, che volevo comprarne ancora di quelle azioni, volevo comprarne di più. Così chiesi a mia moglie cosa ne pensava: mi disse di no, mi disse di vendere quello che avevamo e basta, che lei non ne voleva sapere dei soldi che portano soldi senza fare niente.
Così chiesi all’amico che me le aveva consigliate se era il caso di comprarne altre: mi disse di no, mi disse che i fondamentali di quel titolo continuavano a essere buoni, ma era il mercato a preoccuparlo.
Io ne comprai delle altre. Da allora hanno iniziato a scendere e non sono mai più risalite. Sono passati undici anni e ce le ho ancora lì.
Erano gli anni, poco dopo, in cui in banca facevano dei corsi per dirci che noi italiani eravamo sbagliati, perché rispetto agli altri popoli ci indebitavamo troppo poco, avevamo questa mania del risparmio.
I paesi anglosassoni erano molto più avanti di noi. Dovevamo vendere tanti prestiti, quindi.
Io un anno ne ho venduti abbastanza, così la banca mi ha regalato un cellulare e un ombrello pieghevole.
Erano gli anni in cui una collega in pensione, una vecchia compagna del sindacato, mi chiese cosa ne pensassi dell’idea di investire metà della sua liquidazione in bond argentini. No, le dissi io, perché se rendono così tanto è perché sono rischiosi, e poi sinceramente non mi sembra una gran cosa speculare su un paese in difficoltà.
Lei, vecchia compagna del sindacato, si fece una risata e mi disse se credevo che la rivoluzione si faceva ancora con quelle cose lì, e comprò i bond argentini.
Erano gli anni in cui in certe banche le obbligazioni della Parmalat c’era scritto su dei bollettini interni che avevano un rischio medio basso, poi due settimane dopo la Parmalat è fallita.
Erano gli anni in cui quelli che avevano giocato a mettere il dito a caso sui listini di MF e del Sole adesso facevano causa alla banca, mentre quelli che il dito sul listino non l’avevano mai messo e pensavano di avere un investimento sicuro, ora scoprivano che avevano perso un sacco di soldi, ma scuotevano la testa e non facevano causa a nessuno.
Adesso che è venuto giù tutto, che si è capito che era tutto un inganno, che sono scoppiate tutte le bolle speculative, adesso che il debito pubblico, le borse, la finanza, lo spread, i derivati, le opzioni put e call, la curva dei tassi, il credito al consumo, le stock option, sono parole vuote. Adesso che le banche hanno smesso di comandare. Adesso va tutto bene. Buonanotte.