Cinema

Videogames, Uncharted 3: grandi effetti speciali, ma la storia non regge

di Francesco Serino

La nuova avventura di Nathan Drake e il capitolo finale di una delle serie più importanti di questa generazione di console.

I videogiochi hanno cercato spesso di evolversi in film interattivi. C’è chi ci prova offrendo ai giocatori la possibilità di modificare la trama in base alle proprie scelte, chi punta tutto su un cast stellare e chi, come gli sviluppatori californiani di Uncharted, preferisce ritagliare appositamente per noi un’esperienza lineare ma ricca di momenti chiave capaci di fare la differenza, facendo impersonare al giocatore un avventuriero senza paura.

Discendente del famigerato Sir Francis Drake, l’eroe di Uncharted è un uomo dalla battuta pronta, dall’agilità fuori dal comune e con una discreta abilità anche nell’uso delle armi. Tre caratteristiche che insieme formano la personalità del nostro alter ego ma anche i tre pilastri su cui si basa la giocabilità di questa serie.

Da grande esperto di archeologia, desideroso di scoprire più del suo passato, questa volta Nathan e compagni si ritrovano coinvolti in una caccia al tesoro che li porterà dall’Europa al Sud America, dallo Yemen al deserto di Rub’ al Khali, la più grande distesa desertica del mondo che fa da sfondo a una delle scene più spettacolari del gioco.

L’obiettivo della ricerca è la città perduta di Iram at-al’imad, la città delle mille colonne, già descritta da Lawrence d’Arabia e qui fine ultimo di un viaggio che non prevede pause. Le incredibili scenografie reggono gran parte del gioco, Uncharted 3 può infatti contare su uno dei migliori motori grafici in circolazione e gli artisti della Naughty Dog, la software house responsabile, sanno davvero il fatto loro quando si tratta di fondere insieme scenari reali e antiche tombe immaginarie. Graficamente Uncharted 3 è un cavallo di razza, capace di rivaleggiare in alcuni frangenti anche con il più recente film Pixar.

È davvero un peccato che l’ottimo bilanciamento raggiunto con il secondo capitolo della serie, come spesso capita nelle trilogie, abbia dovuto cedere il passo a un finale (che poi tanto finale non è) così concitato. Esplorazioni, sparatorie ed enigmi da risolvere si alternano in un balletto dopo poche non sorprendono più il giocatore, lasciando che sia solo la forza grafica e la magistrale regia a dare la scossa necessaria per proseguire nella trama.

L’enorme budget messo a disposizione da Sony si è trasformato in uno dei giochi più spettacolari dell’anno, ma anche in un’esperienza fin troppo concentrata, fin troppo leggera. L’azione non è l’apice di Uncharted 3 ma una costante che ne mina il ritmo, intacca la longevità. Per quanto si sforzi a citare il più delle volte l’Indiana Jones di Spielberg e Lucas, quest’ultima avventura per PlayStation3 si rivelerà maggiormente in linea con il Re Scorpione del ben più modesto Chuck Russell. Non che sia una cosa negativa, ma considerando la strada intrapresa dal secondo capitolo era lecito aspettarsi quel passo in più che non è stato fatto. Per arricchire l’offerta anche questo terzo Uncharted mette a disposizione una modalità multigiocatore online dove però l’unico obiettivo sarà sparare contro i giocatori della squadra avversaria, nulla che abbia davvero a che fare con l’avventuroso mondo di gioco della modalità principale.

Uncharted 3 è senza alcun dubbio un capolavoro dal punto di vista tecnico e artistico, ma nel complesso appare meno ispirato del prequel, meno incisivo. Non ci vorrà molto per portarlo a termine ma come per i film più divertenti non mancherà la voglia di rigiocarlo ancora e ancora una volta, magari testando la modalità 3D che malgrado sacrifichi risoluzione grafica e frame rate, garantisce quella che potrebbe essere definita soltanto come una perfetta “pop corn experience”.

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