Per ora l’unico taglio di Mario Monti di cui gli italiani sono riusciti a venire a conoscenza è quello dei suoi capelli. Non è detto che sia un bene. I giornali e le agenzie, infatti, ci hanno informato che la chioma bianca del premier è stata accuratamente sforbiciata dal fido Giuseppe Romano, barbiere di fiducia del professore da ben 22 anni. E ci hanno fatto sapere che il fido Giuseppe ha raccontato: “Abbiamo parlato solo della famiglia, di come stanno i suoi e di come stanno i miei. Non vado a chiedere di politica”. E dispiace. L’unico che ha avuto la possibilità di intervistarlo non lo ha fatto.
Dispiace, non perché non vada bene il lessico familiare, sia chiaro, ma perché a dieci giorni dall’insediamento del governo si è creato un grande paradosso. Che da ogni fonte immaginabile arrivano spifferi e indiscrezioni su quello che si appresterebbe a fare il nuovo governo, tranne che dal suo premier e dai suoi ministri. Così sappiamo ogni cosa sul loden di Monti, sulla ormai celebratissima sobrietà della coppia premierale. Si è discusso molto sul trolley della signora, arrivata in treno a Roma, ma – in un momento decisivo della vita del Paese – il dibattito sulle scelte che ci attendono, a partire da quelle economiche, continua a essere criptato, riservato, in qualche modo coperto.
Si dirà: è una scelta di riserbo che depone a favore del premier e dei suoi collaboratori, della sua squadra. È la quaresima della concretezza dopo l’orgia della virtualità propagandistica berlusconiana. Probabilmente i neoministri non vogliono comunicare male, o fare errori dovuti alla fretta. In realtà bisogna riconoscere che non stanno comunicando affatto. Qualcuno, visti i precedenti, dirà che non è un male, ma siamo bruscamente passati dalla “annunciocrazia”, alla cortese declinazione del silenzio stampa, alla cloroformizzazione dell’informazione nazionale, dell’agenda del dibattito pubblico.
È davvero curioso – ad esempio, che per avere un’idea della possibile riforma del welfare un quotidiano autorevole come Repubblica sia stato costretto a ripubblicare alcuni estratti di un lungo saggio a quattro mani scritto dalla ministra Elsa Fornero prima di entrare in carica. È già tutto fatto, assicura lei adesso con tono minimale, ma a leggere quel testo – scritto per ItalianiEuropei prima della nomina – ci sarebbe da radere al suolo l’intera architettura del sistema previdenziale italiano.
Anche il superministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, fino a ora ha parlato poco, anche se ha portato a casa una mediazione importante, quella su Termini Imerese. Riavvolgendo la bobina della sua partecipazione a In Onda – due mesi prima che fosse nominato – ci siamo accorti che prima di diventare ministro parlava già come se fosse un politico, esponendo un embrione di programma di governo, spiegando che servivano provvedimenti di emergenza per contenere lo spread e “una patrimoniale a chiusura del processo di risanamento”. Una volta diventato ministro è diventato molto più taciturno di prima. Il che vuol dire che quando era presidente di Intesa Sanpaolo si sentiva più tranquillo nelle esternazioni.
Anche Monti ha detto molto di più nella sua ultima apparizione televisiva, quella a Otto e mezzo, il programma di Lilli Gruber. Quel giorno – quasi un curioso “scoop retroattivo” per Lilli – disse: “Un nuovo governo dovrà fare cose che sono sgradite alla destra, come la riforma delle pensioni, e cose che sono sgradite alla sinistra, come la riforma del mercato del lavoro”. Se ripetesse questa stessa frase domani, forse, vacillerebbe la sua stessa maggioranza.
Così il silenzio stampa iperprudenziale è divenuto l’habitus del nuovo esecutivo, e la battuta di Angela Merkel sulle “misure impressionanti” del nuovo governo sono divenute oggetto di polemica in Italia. Una polemica davvero parossistica, se è vero che l’esclamazione della Merkel è stata “usata” dal nuovo governo per veicolare un avallo di autorevolezza internazionale sui provvedimenti della sua manovra, senza che però nessuno sappia né quali siano i provvedimenti, né come sia fatta la manovra.
Il che, ovviamente, ha generato divertenti equivoci: come quello del segretario del Pdl Angelino Alfano che se ne va davanti a Fabio Fazio (sabato scorso) a proclamare orgoglioso di essere persona informata dei fatti: “Ieri sera mi ha chiamato Monti e con garbo e cortesia mi ha detto di aver tirato giù le linee guida del programma economico del governo”. E quali di grazia? Ha giustamente chiesto il conduttore di Che tempo che fa: “Prima di mandarle in Consiglio dei ministri – ha frenato Alfano – mi ha detto che avrebbe gradito parlare con me, con Casini, con Bersani e con quanti sostengono il governo, separatamente, per concordare i punti d’intesa e di dissenso”.
Insomma, se Berlusconi aveva abolito il retroscena, perché tutto il palcoscenico era occupato dalla sua rappresentazione, i primi passi del governo Monti cancellano la scena, e sembrano reintrodurre un’idea quasi esoterica della politica: quella in cui il vero potere è quello di essere iniziati al segreto. Certo, alcuni imprevedibili cortocircuiti sono accaduti. Ad esempio quando il ministro dell’Ambiente Corrado Clini è andato nella istituzionalissima tribuna di Un giorno da pecora a dire che il nucleare era da prendere in considerazione. Da pivello della politica non sapeva che la cosa più pericolosa per un ministro è il duello con la comicità. Molti dicono: “Ma cosa pretendete, in pochi giorni?”.
E molti hanno gioito quando pochi giorni fa Monti ha fatto smantellare la sala stampa neoclassica e supercafona allestita a Palazzo Chigi da Berlusconi con il finto affresco di Tiepolo. Ma in realtà un tecnico dovrebbe spiegare non meno, ma più di un normale politico. E un tecnico, invece che copiare i difetti dei politici e ambientare vertici segreti nei tunnel di Roma, dovrebbe spiegare tutto quello che fa al Paese, perché supplisce con l’informazione al deficit di una investitura elettorale. L’unico taglio che Monti non può fare – dunque – è quello delle notizie.
Il Fatto Quotidiano, 29 novembre 2011