Il nostro Paese è quarto al mondo (dopo Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania) in termini di pubblicazioni scientifiche nel settore delle biotecnologie con il 6% delle ricerche. Ma quando poi si tratta di tradurre in brevetti queste scoperte siamo superati da altri che sono meno studiosi di noi, come, per esempio la Francia. E siamo fermi al 3% dei progetti andati in porto
Il nostro Paese è quarto al mondo (dopo Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania) in termini di pubblicazioni scientifiche nel settore delle biotecnologie, ma quando poi si tratta di tradurre in brevetti queste scoperte siamo superati da altri che sono meno studiosi di noi, come, per esempio la Francia. I dati raccolti dal gruppo di ricerca dell’Imt Alti Studi di Lucca, coordinato dal direttore Fabio Pammolli, lo dimostrano chiaramente. L’Italia produce il 6% circa delle pubblicazioni mondiali nelle scienze della vita, con capacità distintive soprattutto sul fronte medico. Ma quando si tratta di tradurre la teoria in qualcosa di produttivo il nostro paese, brevetti e invenzioni, si aggiudica solo il quinto posto, dopo la meno studiosa Francia. Gli inventori italiani, infatti, producono il 3% circa dei brevetti europei nelle scienze della vita. Questo evidente gap tra capacità di ricerca fondamentale e capacità innovativa e di sviluppo tecnologico appare ancor più marcato se si considerano i brevetti depositati negli Stati Uniti. In questo caso, la quota italiana scende al 2% contro il 5% della Francia.
“I dati – spiega Enrico Garaci, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità – mettono in evidenza la qualità elevata della nostra ricerca biomedica, secondo un trend documentato dagli indicatori bibliometrici internazionali sanitari, ma sottolineano un punto di criticità legato alla debolezza del sistema di trasferimento della conoscenza. In altri termini non riusciamo, a differenza di altre economie, a trasformare le competenze che otteniamo in benefici reali per la salute dei pazienti, trasferimento che rappresenta un volano essenziale per il rilancio finanziario e, soprattutto, per la salute pubblica”.
Se quindi, la produzione scientifica italiana migliora, le possibilità di sviluppo industriale continuano a scarseggiare. Di qui, l’esigenza di parlarne per sciogliere i nodi del futuro. “Il meeting rappresenta, infatti, un’occasione per far incontrare pubblico e privato – afferma Gianni Rezza, presidente del Cnccs – e favorire un meccanismo virtuoso attraverso il quale la ricerca di base, per definizione finalizzata all’aumento delle conoscenze, possa traslarsi nella messa a punto di prodotti, farmaci e strategie utili ad aumentare il benessere degli individui e della comunità”. Domani, durante la giornata conclusiva, sarà assegnato un premio di 80mila dollari per la scoperta più innovativa e di grande impatto del 2010: destinatari, un ricercatore italiano e uno straniero.
di Chiara Di Martino