Probabilmente la maggioranza dei lettori del Fatto non conosce Omar Abdul Thomas. Trattasi di giocatore di basket americano, eletto nella passata stagione Mvp (miglior giocatore) del campionato italiano. Thomas è nato a Philadelphia e ha giocato al college in Texas. Poi è venuto in Europa e ha cominciato a scalare posizioni, fino appunto a essere eletto nella passata stagione Most Valuable Player della nostra serie A.

La scheda di Thomas riporta, accanto alla dizione “Nazionalità Sportiva” la scritta “Slo”. Dalla passata stagione, infatti, il nostro è tesserato come sloveno, in virtù di un passaporto di cui tra poco riparleremo. Per chi non è addentro, giocare da sloveno significa poter “risparmiare” un tesseramento extra-comunitario, visto che le norme restringono a cinqu il numero degli stranieri utilizzabili, e di questi solo due o tre (a seconda delle circostanze) possono provenire dal territorio extra-Ue.

Ora, la questione che riguarda Thomas è piuttosto complessa. Io ho provato a ricostruirla il più precisamente possibile sul mio sito, cui vi rimando per i particolari (in certi casi surreali). Chi non avesse voglia di seguire le tappe della vicenda (cosa che peraltro consiglio per averne una buona comprensione), può prendere per buona la seguente sintesi:

– il 20 giugno il giocatore viene respinto alla frontiera dove gli viene contestato il possesso di un passaporto sloveno falso (quello che ha utilizzato per tutta la stagione ai fini del tesseramento).
– Il 6 luglio la Federazione lo convoca per un interrogatorio che verrà celebrato solo il 22 settembre.
– Il 7 ottobre il Tribunale di Civitavecchia lo proscioglie dalle accuse di ricettazione e possesso di falsi documenti.
– Il 25 ottobre il tribunale cestistico di primo grado si dichiara incapace di decidere.
– Il 9 novembre quello di secondo grado ritrasmette gli atti al primo grado.

Alle porte di dicembre, la questione è ancora allo stesso identico punto, tra gli alti lai dell’avvocato di Thomas. Cinque mesi per non esprimere un giudizio sportivo che sarà poi comunque appellabile e riappellabile. Il che penso si presti a qualche veloce considerazione:

1. La Giustizia è tale se si esprime in certi tempi. Se le procedure diventano solo legacci e si frappongono al raggiungimento di un risultato equo, non si tratta di garantismo ma di attendismo. Con l’avvertenza che l’obiettivo del sistema dovrebbe essere quello di fare una Giustizia non sommaria, ma almeno sostanziale, e non solo formale.

2. La Giustizia Sportiva imita bene (cioè male) quella ordinaria. Nel senso che è vittima delle stesse contraddizioni, dimenticandosi che il suo obiettivo deve sì essere quello di dare alle parti il miglior giudizio possibile, ma che i ritmi dello sport non permettono di derogare da certe tempistiche. Farlo nascondendosi dietro cavilli e altri trucchetti allontana da quella Giustizia sostanziale di cui sopra.

3.  Omar Thomas è un lavoratore. Tra l’altro, secondo una curiosa legge dello Stato, un lavoratore dipendente inquadrato come moltissimi di quelli che stanno leggendo. Come tale, la sua capacità di produrre reddito e sostentare la famiglia non dovrebbe essere mai pregiudicata se non in presenza di fondati motivi (leggi una condanna). Tenerlo nel limbo così a lungo sulla scorta di antiquate leggi che regolano allo stesso modo le sgambate di amatori e dopolavoristi, è onestamente poco responsabile.

Al netto di tutte le stranezze del caso (e ce ne sono molte) sarebbe bello per una volta sentire un’istituzione, in questo caso sportiva, che si fa carico della situazione, magari anche solo in chiave futura.

Già, sarebbe bello…

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