La vicenda People Mover rischia di diventare un intralcio di non poco conto sul cammino della giunta guidata dal sindaco Merola, oltre agli elementi più discussi che riguardano la proprietà effettiva dell’infrastruttura e le conseguenze rispetto alla scelta del project financing per realizzarlo, appaiono evidenti alcuni non secondari elementi di metodo nella scelta di far partire concretamente l’opera, senza un adeguato coinvolgimento e convincimento di parti importanti dell’opinione pubblica e della cittadinanza attiva, questione che a Bologna assume un rilievo importante, soprattutto dopo le vicende Metrò e Civis, gli altri due progetti di cui uno è abortito dopo anni di discussioni laceranti e l’altro, nato male, non si sa ancora se e come si attuerà, dopo che sono stati già spesi decine di milioni di euro.

Nel dibattito urbanistico sul futuro di Bologna, il tema della mobilità ha un rilievo straordinario per i notevoli problemi di congestione che la città soffre da molto tempo ed anche per l’esigenza di realizzare un possibile, e oggi ancor più difficile, sviluppo economico, attraverso una migliore organizzazione di tutte le funzioni che fanno di Bologna una città “nodo” strategico della mobilità nazionale ed europea, luogo d’interscambio di flussi nord sud e in parte anche est-ovest.

Le stesse funzioni interne all’area metropolitana (che risentono del peso delle prime), sono condizionate dall’insufficienza dei servizi di mobilità locale per persone e merci che determinano rallentamento del traffico e soprattutto inquinamento, quindi scadente qualità della vita con perdite economiche nel breve come nel lungo termine, basta pensare alla perdita di competitività del sistema fieristico rispetto ai competitor nazionali ed anche regionali (Rimini).

In questo senso la scala “metropolitana” del futuro assetto della città è una dimensione ineludibile, anzi una prospettiva indispensabile per rendere Bologna vivibile e competitiva nel futuro.

Invece quest’impostazione è negata dal fatto che in realtà non ci si preoccupa di realizzare quegli interventi che contribuiscano a migliorare realmente la situazione attuale, nella direzione di una riorganizzazione delle funzioni su questa scala più ampia, invece si perpetua una concezione “municipale” anche nella soluzione dei problemi del traffico e della mobilità, così come dello sviluppo dei servizi ,nell’ottica della città compatta, cioè che chiusa al suo interno.

Come non considerare in questo senso tutte le principali decisioni realizzate negli ultimi anni sostanzialmente orientate in questa direzione, nelle costruzioni, nella sanità, nell’università ecc ?

Così anche la soluzione People Mover, è ideata non come mezzo di collegamento con la rete dei trasporti locali SFM attraverso il quale dovranno transitare gran parte dei pendolari che costituiscono i due terzi degli abitanti della Bologna Metropolitana e quindi in proporzione anche gli utenti dell’aeroporto. Al contrario è concepito come strumento interno al solo Comune (ed agli ideal-tipo di clienti del Marconi provenienti da altre parti d’Italia!) e parzialmente alternativo ad un servizio già esistente il BLQ , quindi con un’ottica questa si provincialmente municipalistica e non metropolitana e regionale.

Il problema vero è che queste osservazioni, svolte in modo vieppiù qualificato da eminenti esperti del campo urbanistico e trasporti stico, non sono state tenute in alcun conto e il dibattito su questi argomenti langue nel disinteresse reale di coloro che poi assumono decisioni, le cui conseguenze invece, ricadono sulle spalle i tutti.

Pertanto sarebbe bene che il Comune, invece di reagire con fastidio, approfittasse dell’istruttoria pubblica, come di un’occasione finalmente per discutere approfonditamente dei pro e dei contro, dando l’opportunità soprattutto a chi ha la competenza per intervenire, così da contribuire a una decisione più trasparente, più partecipata e, forse, alla fine più condivisa dalla città.

Così come nella realizzazione di progetti così importanti dev’ essere sempre contemplato e certificato, non solo sul piano della formalità amministrativa, il parere tecnico di un ente terzo indipendente, per contribuire alla’effettiva consapevolezza di ciò che si va a decidere, è la prassi adottata in tutte le amministrazioni pubbliche delle città europee e talvolta (purtroppo poche volte) anche in Italia.

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