Minzolini, direttore del Tg1, ha finalmente raggiunto quota 16, e non ci riferiamo alle mancate rettifiche, bensì agli ascolti raggiunti dall’edizione domenicale del tg delle 20, quello che, persino nei periodi più bui, manteneva comunque il primato degli ascolti.

Una o due volte, nel passato, era accaduto che il Tg5 riuscisse nel sorpasso, ma mai, proprio mai, quel tg aveva centrato un risultato così clamorosamente basso. Non solo il Tg5 lo ha superato, ma addirittura il Tg3 ha raggiunto una percentuale più alta.

Non si tratta di una crisi passeggera, ma di una disfatta annunciata che affonda le sue radici nelle notizie non date, nella realtà cancellata, nei Mills assolti”, nei terremotati usati e abbandonati, negli edtoriali scagliati contro gli avversari di Berlusconi, nelle epurazioni delle giornaliste e dei giornalisti non graditi al padrone di turno.

Così, giorno dopo giorno, quello che un tempo era il più importante tg italiano e che amava paragonarsi al Corriere della Sera, è ormai diventato un piccolo tg privato più simile al Tg4 che non ad altri modelli.

Tra un buco, un’omissione e un comizio, l’ascolto è precipitato al punto più basso. Eppure fuori dalla Rai non è finito Augusto, bensì i vari Santoro, Dandini, Travaglio, Saviano… quelli che portavano soldi e pubblicità.

Ora si sente dire che Minzolini sarà mandato a casa dal giudice chiamato a decidere sull’utilizzo della carta di credito aziendale, e comunque la sua sorte sarebbe segnata dal cambio di governo. Se così fosse sarebbe davvero l’epilogo più triste e volgare.

La rimozione di Minzolini non va delegata al giudice e neppure alla politica, più semplicemente e drammaticamente le ragioni della sua caduta stanno nei numeri, nel fallimento decretato da milioni di spettatori, nella sostanziale privatizzazione di un bene pubblico.

Cosa altro si deve aspettare, che quel “sedici” scenda ancora?

Naturalmente se gli ascolti della Rai tracollano, il suo concorrente festeggia, provate a immaginare chi e avrete scoperto il beneficiario politico ed industriale di quella metastasi chiamata conflitto di interessi.

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