Arresti per corruzione e arresti per mafia. Che scattano lo stesso giorno a Milano e a Brescia. Due inchieste distinte nei fatti, ma intimamente connesse nelle logiche di funzionamento del sistema Lombardia. Che ne esce a pezzi, sempre più “nero”, sempre meno “diverso” da quello di altre regioni accusate di essere intrise di malaffare. Vent’anni dopo Mani pulite, le tante inchieste sulla ‘ndrangheta trapiantata al nord e sui suoi rapporti politici completano un quadro ormai lontano anni luce dalla retorica di Milano “capitale morale”.

L’operazione della Direzione distrettuale antimafia diretta da Ilda Boccassini porta in carcere due imprenditori calabresi da tempo trasferiti a Milano, Francesco e Giulio Giuseppe Lampada. Le società di quest’ultimo, attive tra l’altro nel settore dei videopoker, hanno sede in via Melzi D’Eril a Milano, di fianco all’Arco della Pace. I Lampada sono legati alla famiglia Valle, di origine reggina ma stabilitasi da decenni nel milanese, già oggetto di diversi procedimenti per associazione mafiosa e usura. Francesco Lampada è il marito di Maria Valle, nipote del patriarca Francesco, anche lei finita oggi ai domiciliari.

I Lampada vantano un rapporto saldo con Armando Vagliati, consigliere comunale del Pdl a Milano. Un legame già emerso in passato e pienamente confermato da quest’ultima indagine. Vagliati – non indagato – ha anche introdotto Giulio Giuseppe Lampada a una festa elettorale dell’ex sindaco Letizia Moratti a La Banque, discoteca milanese di grido. E Leonardo Valle, altro figlio di Francesco, nel 2009 si candidò (senza successo) alle elzioni comunali di Cologno Monzese, in una lista “riformista” alleata con il Pd, con l’appoggio del medico calabrese Vincenzo Giglio, anche lui arrestato oggi insieme al cugino e omonimo giudice del Tribunale di Reggio Calabria.

La strategia dell’approccio alla politica è a tutto campo. E’ sempre Giulio Lampada, come emerge dalle carte dell’inchiesta, a organizzare nell’aprile 2008 una serata elettorale a Roma dove l’ospite d’onore è il candidato sindaco (poi vincente) Gianni Alemanno, già ministro per An. La festa si svolge al Café de Paris, che poi sarà sequestrato perché riconducibile al clan Alvaro di Sinopoli. A officiare l’incontro, il consigliere regionale calabrese Francesco Morelli, arrestato dalla Dda di Milano, anche lui della Destra sociale e in strettissimi rapporti con Alemanno.

L’inchiesta di Brescia ha invece portato all’arresto di Franco Nicoli Crsitiani, vicepresidente del consiglio regionale lombardo e a suo tempo fondatore di Forza Italia a Brescia. Insomma, un pezzo grosso della politica regionale, assessore all’Ambiente per due legislature nelle giunte guidate da Roberto Formigoni. La Procura lo accusa di corruzione nell’ambito della gestione illecita dei rifiuti. I carabinieri, quando si sono presentati nella sua casa di Mompiano per arrestarlo, hanno trovato 100 mila euro in biglietti da 500, divisi in due buste. Con lui è finito in carcere Giuseppe Rotondaro, coordinatore dello staff dell’Agenzia regionale per l’ambiente.

La presunta tangente è maturata secondo l’accusa nella gestione di alcune cave, settore da tempo nel mirino degli investigatori. Sono finite sotto sequestro la cava di Cappella Cantone (Cremona) destinata a una discarica di amianto, e un impianto per il trattamento di rifiuti a Calcinate (Bergamo). Ma i sequestri hanno toccato anche una delle più importanti opere pubbliche attualmente in costruzione in Lombardia, l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano, detta Brebemi, opera i cui costi sono raddoppiati da 880 milioni a 1,6 miliardi di euro: i sigilli sono stati messi ai cantieri di Cassano d’Adda (Milano) e Fara Olivana(Bergamo). Sotto l’asfalto della grande opera sarebbero finiti appunto rifiuti speciali che avrebbero dovuto essere smaltiti altrimenti.

Di ‘ndrangheta nell’inchiesta bergamasca non si parla, ma le misure cautelari hanno colpito anche Pierluca Locatelli, imprenditore del settore, la moglie Aurietta Pace Rocca, e due dipendenti della società. La Locatelli di Grumello Monte in provincia di Bergamo, però, era già stata coinvolta nel 2009 in un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Protagonisti i fratelli Marcello e Romualdo Paparo, originari di Isola di Capo Rizzuto (Crotone), a capo di un solido gruppo imprenditoriale basato nell’hinterland nord milanese. La Locatelli faceva lavorare nei cantieri della Tav, altra grande opera pubblica, l’azienda di movimenti terra dei Paparo, la P&p. Non in Calabria ma in Lombardia, tra Pioltello e Pozzuolo Martesana.

La sentenza di primo grado ha fatto cadere l’accusa di associazione mafiosa per i fratelli Paparo, condannati però per possesso di armi (Marcello anche per aver ordinato il brutale pestaggio di un dipendente ribelle). Prosciolti per prescrizione altri dipendenti della Locatelli. Agli atti restano comunque le intercettazioni telefoniche in cui questi ultimi spiegano, loro ai calabresi, come aggirare “la famosa legge antimafia” e il limite del 2 per cento nei subappalti delle opere pubbliche. Per ingannare eventuali controlli di polizia sarebbe bastato “schiaffare” sui camion delle P&p “due targette Locatelli”. E il subappalto sarebbe sparito d’incanto.

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