L’amico Ignazio l’ha portato alle Poste. Poi gli ha garantito un ‘incarico speciale: consigliere personale del ministro della Difesa per la politica industriale. E adesso Filippo Milone ha fatto il grande salto. Da segretario del ministro a sottosegretario alla Difesa. Un carrierone nel segno di Ignazio La Russa, vera stella polare nella vita e nel lavoro per l’ultimo arrivato nel governo di Mario Monti.

Un tecnico? Pare di no. Milone ha speso una vita al servizio di Salvatore Ligresti. Anche il sottosegretario ha radici a Paternò, la cittadina in provincia di Catania, di cui sono originari Ligresti, i La Russa e tutti gli storici collaboratori del costruttore. Il suo curriculum personale racconta che Milone ha cominciato a lavorare, appena laureato, nell’azienda di costruzioni di Gaetano Graci, uno dei quattro cavalieri catanesi che negli anni Ottanta e Novanta furono al centro di mille intrighi di mafia e corruzione. Da allora Milone ha fatto carriera tra progetti, palazzi, cantieri e nel periodo di Tangentopoli ha subìto una condanna penale (un anno e sette mesi) cancellata con la riabilitazione.

Anche suo fratello Giuseppe è targato La Russa e siede nel consiglio provinciale di Milano per il Pdl. Pure lui, manco a dirlo, lavora per Ligresti. Il nuovo sottosegretario non ha comunque mai avuto niente a che fare con la Difesa del Paese, se si eccettua la breve parentesi, dal 2008, come assistente dell’ex ministro. Negli anni in cui ha lavora per Ligresti, Milone è riuscito anche a fare affari in proprio. Si è messo in società con Giuseppe Pizza, noto alle cronache politiche come segretario della nuova Democrazia Cristiana, un partitino nell’orbita berlusconiana. Nel 1998 la coppia Pizza-Milone compare tra i soci della Edilalfa di Roma, una piccola impresa di costruzioni. Finisce male: la Edilalfa va in fallimento nel 2001. Una brutta avventura, ma l’esperienza da manager della Grassetto era stata anche più travagliata, almeno sul fronte giudiziario.

Nei primi anni Novanta Milone è finito più volte in tribunale, da imputato, ed è stato anche arrestato. Furono solo poche ore nell’ottobre del 1992, quando i pm di Torino indagavano su di lui per turbativa d’asta e abuso d’ufficio in una vicenda di presunte tangenti ad Asti. Nel 1997 è arrivato la condanna defintiva in Cassazione, poi cancellata con la riabilitazione. Da Aosta a Padova, da Napoli ad Asti e a Milano, in quel periodo Milone finisce più volte alla sbarra. Ad Asti, interrogato dai pm, il manager della Grassetto svelò il sistema dei versamenti illegali delle aziende ai partiti. Passa il tempo e col tempo si smosciano anche i furori di Tangentopoli. Per Milone arrivano le assoluzioni. A Padova, nel processo per le mazzette sui lavori per il tribunale, le accuse cadono in appello. A Milano, invece, è la prescrizione a salvare il manager di Ligresti, coinvolto nell’indagine sulla presunta corruzione per le licenze edilizie nell’area Portello. Nel 2001 finisce fuori tempo massimo anche il processo sulle tangenti per il metrò di Napoli.

Milone non si arrende. Fedele alla causa, quella dei Ligresti, il manager catanese conserva la poltrona nel consiglio di molte aziende di famiglia. Holding immobiliari come la Progestim e anche la Saiagricola, che gestisce i vigneti di Montepulciano della Fondiaria assicurazioni. L’amico La Russa si ricorda di lui nel 2005, quando il governo Berlusconi mette mano ai vertici delle Poste. Milone, in quota ad Alleanza Nazionale, viene nominato dal Tesoro nel consiglio di amministrazione della società pubblica. Dura fino al maggio 2008, quando alle Poste va in scena un altro ribaltone. Milone però non resta disoccupato. Per lui è pronto un incarico di consigliere per la politica industriale dell’amico La Russa, nel frattempo diventato ministro della Difesa. Ed è in questa veste che lo vediamo ricomparire in un’intercettazione telefonica di una conversazione tra Lorenzo Borgogni e un altro manager del gruppo, Marco Forlani, nell’inchiesta Finmeccanica. È lui il Filippo del quale parlano i due manager, che chiedeva con urgenza un contributo in vista della festa del Pdl del 2010 a Milano. Per il pm Paolo Ielo da questa telefonata “si evince con solare evidenza come il ruolo di Borgogni dentro Finmeccanica fosse anche quello di occuparsi di contribuzioni illecite ai partiti”. 

Il responsabile relazioni internazionali di Finmeccanica, Marco Forlani, dice a Borgogni: “Mi ha chiamato Filippo che dice su, su quel discorso che facciamo ogni anno della loro offerta di partito a Milano eccetera (…) credo sia una cosa del Pdl (…) lui mi ha anche detto che gli hai indicato che non volevi comparire come Finmeccanica, ma con una società esterna (…) lui dice scusami sto all’ultimo con l’acqua alla gola eccetera, perché lui deve parlare con qualcuno dei nostri tra oggi e domani”. Borgogni si infuria: “dai Marco, maremma puttana Marco” perché non sono argomenti di cui parlare al telefono. Su questa telefonata, due giorni prima della nomina di Milone, Borgogni è stato interrogato dai pm Alberto Caperna e Paolo Ielo alla presenza dell’avvocato e della polizia giudiziaria. Borgogni ha cercato di minimizzare: “era solo un contributo per una cena di partito da 5 mila euro e lo ha fatto una società terza”. Gli investigatori sono rimasti molto scettici e presto Milone sarà sentito.

di Marco Lillo e Vittorio Malagutti

Da Il Fatto Quotidiano del 30 novembre 2011

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