Mobilitazione generale contro la riforma della previdenza. 50mila in piazza a Londra, servizi pubblici dimezzati ma senza il temuto blocco. Chiuse soprattutto le scuole, mentre all'aeroporto di Heathrow intervengono i militari e volontari per sostituire gli addetti
Solo a Londra, oltre 1.700 scuole primarie e secondarie sono rimaste chiuse. Nel caos anche la famiglia del primo ministro David Cameron, che ha dovuto lasciare il figlio di cinque anni, Arthur Elwen, a casa di un amichetto. Per centinaia di migliaia di londinesi, scuole chiuse e insegnanti in piazza a protestare – il corteo, almeno 50mila persone, è partito da Victoria Embankment, sulle rive del Tamigi – hanno significato soprattutto una cosa: grandi problemi sul dove lasciare i figli. Così si narra di uffici della City pieni di bambini, portati sul luogo di lavoro dai rampanti genitori che lavorano nella finanza. Lavoro extra anche per baby-sitter, badanti, asili privati e centri-gioco. Gli insegnanti sono arrabbiati. Oggi lo sono stati anche i genitori dei piccoli londinesi e dei piccoli britannici in generale. Oltre 300 scuole chiuse a Birmingham, centinaia a Manchester, persino la Scozia – in genere riluttante a partecipare agli scioperi nazionali – questa volta ha preso parte.
Oggetto della contesa, la riforma delle pensioni, che qui come in altri Paesi europei minaccia di colpire duramente i lavoratori. Gli oltre trenta sindacati che hanno aderito lo sostengono già da quando le misure furono annunciate: «Per noi questo è troppo, a essere colpiti saranno ancora una volta i dipendenti pubblici». I ministri del Cabinet propongono di legare gli aumenti pensionistici all’indice reale dei prezzi, di aumentare la contribuzione su base mensile del 3,2% e di legare la pensione a una media dei salari di tutta la carriera lavorativa e non più dei soli ultimi anni di servizio. Le sigle sindacali pensano che tutto questo sia solo un modo per riempire le tasche del Regno Unito – e in effetti lo è – anche dopo l’annuncio di ieri del ministro all’Economia George Osborne di una Gran Bretagna che rischia di entrare in recessione. «Se non lo facciamo, andiamo in bancarotta», ha detto Osborne, trafelato e rosso in viso.
Ma l’Ufficio Studi Fiscali, proprio oggi, ha avvertito: le famiglie britanniche rischiano la più grande “spremitura” dai tempi della crisi del petrolio degli anni Settanta. Se tutto continuerà così, ogni nucleo perderà l’anno prossimo almeno 2.000 sterline di introiti, mille per quanto riguarda i single. In soldoni, vorrà dire che nel 2015 il benessere delle famiglie UK sarà fermo ai livelli del 2002. Tredici anni senza alcun cambiamento. A che cosa è dovuto tutto ciò? A meno welfare, ad aumenti degli stipendi pubblici fermi all’1%, ben al di sotto dell’inflazione (questo vuole Osborne), e ad aumenti di tariffe e bollette. Gli abbonamenti della metropolitana di Londra e dei treni in tutta la nazione aumenteranno dal primo gennaio di quasi il 7% in un colpo solo – e già oggi a Londra per un abbonamento di media percorrenza bisogna sborsare 130 sterline al mese, 150 euro – così come nella prossima primavera crescerà il prezzo della benzina e delle utenze domestiche. Anche per questo, oggi, i britannici hanno scioperato.
E oggi, a Londra, non hanno sofferto solo gli studenti. Quasi 40mila dipendenti dell’NHS, il servizio sanitario nazionale, hanno scioperato nella capitale. Operazioni cancellate, visite mediche rinviate, in servizio la metà delle ambulanze rispetto a un giorno normale. Persino un quarto degli operatori del 999 – il numero delle emergenze – ha incrociato le braccia e già da giorni il servizio avvisava la popolazione di chiamare il numero solo in caso di reali emergenze. Ma i lavoratori della sanità rischiano come quelli della scuola. Così come rischiano i dipendenti di musei e biblioteche, di servizi sociali e amministrazioni locali, di autisti dell’autobus e di personale delle frontiere.
Comunque, nell’allarmismo generalizzato dei giorni passati è stato preso un grande buco nell’acqua. Si diceva che oggi l’aeroporto di Heathrow sarebbe rimasto bloccato, con code anche di dodici ore agli sportelli della dogana e della frontiera. Ma la televisione mostrava uno scalo perfettamente funzionante, oggi pomeriggio. Al posto degli addetti in sciopero, volontari e militari dell’esercito. E una signora appena sbarcata da un volo intercontinentale diceva felice e contenta: «Non ho fatto nemmeno un minuto di fila, mentre di solito, per entrare in UK, aspetto delle buone decine di minuti. Magari fosse tutti i giorni così».