Qui nessuno aiuta nessuno, signor Olivares. Vive da abbastanza tempo in Congo, non lo ha imparato? Non ha ancora capito che questa è una grande tragica commedia? Non è buffo che il governo denunci il Ruanda alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja per il genocidio di tre milioni di congolesi e sfruttamento illecito delle sue risorse naturali? Oggi le guerre non si combattono per motivi politici, l’ideologia è relegata in secondo piano, quello che conta è l’aspetto economico, il mercantilismo. Mercantilismo… le piace questa parola, amico mio? Se hai i diamanti compri le armi e con le armi vai al potere. Al potere controlli i diamanti. È un circolo perverso. Perché una volta che controlli i diamanti non vuoi rinunciare al potere, così cerchi di eliminare ogni opposizione che cerca di rovesciarti con la forza. E come cerca di farlo? Con le armi. L’opposizione ha bisogno di armi, così va in cerca dei diamanti. È una spirale continua e inevitabile. E qui non stiamo parlando solo di diamanti. In ballo ci sono l’oro, il niobio, il ferro, il cobalto, il manganese, del minerale uranifero, zinco, zolfo, il coltan… In mezzo al commercio delle risorse naturali ci sono tutti: francesi, egiziani, belgi, la mafia kazaka, aziende europee che raffinano metalli, i servizi segreti ruandesi e ugandesi, lo stesso governo congolese… diciamoci la verità: qui non ci sono buoni, sono tutti dei furfanti, dei criminali. Questa città è folle, questa nazione è folle, chi ci vive è folle. La verità è che qui governa solo l’anarchia. Ci sono seimila uomini della MONUC in un territorio grande come mezza Europa: impossibile che riescano a fare qualcosa, anche se fossero i migliori guerrieri pacificatori della terra; sono inutili, stanno lì e guardano. Gli aiuti ai rifugiati ammontano sì e no ad 1/5 di quanti ne servirebbero solamente per iniziare a fare il piccolo primo passo. Per i profughi congolesi si spendono 15 centesimi di dollaro al giorno. E mandano qui ragazzini uruguaiani, paraguaiani, cingalesi. Non parlano francese, non parlano kiswahili, non possono e non riescono a comunicare. Una grande farsa, la trovo una grande farsa. Ci sono truppe d’invasione straniera, predoni, banditi locali, ribelli male armati. Le coalizioni cambiano continuamente, è un grande e magico carnevale. Signori della guerra, milizie tribali, sbandati, mercenari, cannibalismo, stupri di massa, crani fracassati, gole tagliate, mani amputate. Non lo trova drammaticamente suggestivo? Un mix di tribalismo e modernità! Combattono con armi automatiche e machete! Tamburi e telefoni satellitari! Pozioni magiche che rendono invincibili! È un grande teatro quello messo in piedi da questi “guerrieri”. Guardi il presidentissimo, un grande attore tragico, sciatto e volgare. Quando era a capo dei ribelli faceva il discepolo di Lumumba e mentre i suoi uomini si scannavano per cacciare via il dittatore lui faceva la bella vita al Cairo. Adesso che è al potere ordina al suo paranoico e grasso figlio di mandare gli ispettori in tutto il paese per verificare lo stato dell’amministrazione, dice che vuole fare uscire il Congo dalla crisi economica e finanziaria, ma sono tutte balle, è solo un attore della parlantina, il figliol prodigo di questo infernale baraccone africano“.

Quando ho scritto Le bestie. Kinshasa Serenade era l’estate del 2004 ed ero molto arrabbiato. Mentre in tv, sui giornali, alla radio non si faceva che parlare delle sensazionali guerre americane al Terrore, io leggevo, sulla poca stampa seria, che in Congo morivano migliaia e migliaia di persone, in una guerra inutile e fratricida che il mondo intero ignorava. Mi sarebbe piaciuto potesse rappresentare solo una testimonianza di quello che fu (il libro è ambientato nel 2001). Purtroppo, attualmente, in Congo vagano oltre un milione e mezzo di profughi che hanno abbandonato le zone dove il conflitto dura da quindici anni, causando quasi sei milioni di morti, e i componenti usati per far funzionare i nostri computer e i nostri smartphone continuano a provenire dalle zone minerarie del Paese africano, dove persone ridotte in schiavitù muoiono per il nostro quotidiano e, a volte, futile benessere.

Il 28 novembre si sono tenute le elezioni presidenziali e legislative, inaugurate, nei giorni precedenti da violenze e intimidazioni da parte del Partito del Popolo per la Ricostruzione e la Democrazia (PPRD), la formazione del Presidente uscente, Joseph Kabila, il “paranoico e grasso figlio” del vecchio dittatore. Grazie allo zelante Mushi Ndibu, coordinatore dello sport giovanile della formazione di governo, Kabila ha messo in piedi un’armata di pugili e lottatori, ufficialmente responsabili di assicurare tranquillità e sicurezza per il corretto svolgersi delle elezioni. Agli atleti si sono uniti i membri delle oltre trecento bande di strada che imperversano per Kinshasa, i cui nomi sembrano presi da un remake globalizzato de I guerrieri della notte: l’Armata Rossa, i Bastardi, gli Iracheni, i Cooperanti.
I primi risultati ufficiali verranno pubblicati ai primi di dicembre, ma già l’Unione Africana e l’Unione Europea hanno lanciato appelli perché i risultati del voto siano accettati da tutti i candidati. Si temono brogli, nuove intimidazioni, ingiustizie.

La verità, come diceva uno dei personaggi di The Mission Song di John Le Carré, è che in questo immenso e splendido paese africano i leader “sono delle teste di cazzo totali, con il cervello di un bambino di cinque anni. Poco tempo fa, gli esperti della Banca Mondiale hanno fatto uno studio sullo stile di vita in Congo. Domanda: ‘Se lo Stato fosse una persona, che cosa ne penseresti?’. Risposta: ‘Lo uccideremmo‘”.

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