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Belgio, i sei partiti di maggioranza vicini all’accordo: a breve il governo Di Rupo

Dopo 535 giorni di vuoto la situazione sembra al punto di svolta. Eppure soltanto qualche giorno fa Di Rupo aveva abbandonato i negoziati e consegnato le dimissioni a Re Albert, che da circa un anno e mezzo spera di dare a "qualcuno" l'incarico di Primo ministro

Elio Di Rupo

Per scaramanzia non bisognerebbe dirlo, ma il Belgio dopo 535 giorni senza governo è vicinissimo alla formazione del nuovo esecutivo. La notizia non è ancora ufficiale, ma quello che trapela dalla stanza dove sono rinchiusi i sei rappresentanti dei partiti della coalizione di maggioranza (PS, MR, cdH, CD&V, Open Vld et sp.a) è un sostanziale accordo sul nodo della discordia di sempre, ovvero il budget 2012. Adesso si attende la conferma definitiva dell’accordo che potrebbe portare al primo governo guidato da un socialista francofono dal lontano 1974, Elio Di Rupo, di chiare origini italiane.

Soltanto qualche giorno fa Di Rupo aveva abbandonato la sala dei negoziati sbattendo la porta in faccia a quella che lui stesso aveva chiamato una “situazione drammatica” e consegnato le dimissioni a Re Albert, che da circa un anno e mezzo spera di dare a “qualcuno” l’incarico di Primo ministro. In quell’occasione a mettersi di traverso erano stati i liberali, contrari all’aumento delle tasse senza sufficienti tagli di bilancio e riforme sostanziali sulle pensioni o sulle indennità di disoccupazione, cosa che a loro non avrebbe fatto altro che pregiudicare le piccole e medie imprese.

Sì, perché se all’inizio a Bruxelles si litigava sulle autonomie tra le due grandi comunità del Belgio, quella fiamminga e quella vallone (anche se a onor del vero ne esiste una piccola piccola di lingua tedesca), adesso la vera disputa è sul bilancio pubblico. Argomento delicato specie in tempi di crisi economica, con la bufera dell’Euro che potrebbe da un giorno all’altro alzare lo sguardo dal sud Europa proprio in direzione del piccolo Belgio.

Se n’è già accorto Standard & Poor’s, che venerdì scorso ha declassato “la Belgique” da AA+ alla doppie A e prevedendo già l’ipotesi di futuri declassamenti. “L’abbassamento del rating sul lungo termine riflette la nostra visione del rischio potenzialmente elevato in riferimento all’insolvibilità del regno del Belgio”, ha motivato con una nota l’agenzia. Questo sia dovuto al ruolo particolarmente importante delle esportazioni nell’economia del Belgio, per forza in contrazione in tempo di crisi, che per assenza di un chiaro e sicuro quadro politico.

Ma il documento programmatico di 185 pagine discusso oggi a Bruxelles tenta proprio di gettare le basi di un accordo di governo che sia il più possibile stabile. Il grosso del budget 2012, dell’ammontare di 11,3miliardi di euro, arriverà per il 42 per cento da tagli alle spese pubbliche, per il 34 per cento nuova tassazione e aumento di certe imposte, e per il 28 per cento da altre misure circostanziali. Tra le nuove tassazioni rientrano quelle sui plus valori finanziari e sulle alte rendite (non patrimoniali) e le accise su beni di consumo come alcolici e sigarette. Poi modifiche al cosiddetto chômage, ovvero il sussidio di disoccupazione (piuttosto generoso in Belgio) e piccoli ritocchi al prepensionamento, con passaggio dell’età minima da 50 a 52 anni nel 2012 e a 55 anni nel 2018.

Ma saranno davvero tutti d’accordo? Difficile a dirsi in Belgio, dove ci si è avvicinati troppo spesso al traguardo di un nuovo governo, ma senza arrivarci. Non fa ben sperare la reazione scandalizzata di Ecolo, il partito verde francofono, ai tagli annunciati alla spesa pubblica. Intervistato dalla RTBF (la Rai belga), Jean-Marc Nollet si è detto “scioccato dalle misure prese dai negoziatori” in merito alla “soppressione totale e brutale” del sostegno federale all’economia energetica alternativa. “Nella settimana in cui si apre la Conferenza internazionale sul clima a Durban, il Belgo cancella i finanziamenti federali alle energie pulite”.

Insomma la sensazione è che a Bruxelles nessuno voglia inghiottire la pillola amara di una manovra finanziaria che, in tempo di crisi, a qualcuno deve far male per forza. L’unico soddisfatto, comunque andranno le cose, resta Bart De Wever, leader del partito fiammingo separatista N-va, che in passato ha fatto più volte cadere i negoziati sempre per supposte ragioni di budget e autonomia federale. Incassata l’autonomia linguistica ed amministrativa di alcune parti della circoscrizione elettorale e giudiziaria di Bruxelles-Hal-Vilvorde (BHV), adesso tutto il lavoro sporco resta a Di Rupo.