C’è anche la Nato tra le vittime dei Casalesi. Secondo la magistratura, infatti, il clan di Michele Zagaria è riuscito a ottenere un grosso appalto pubblico del ministero della Difesa per la realizzazione della sede del Centro Radar HF Nato a Licola, nel giuglianese, impiegando “materiali qualitativamente e quantitativamente diversi e inferiori rispetto alle previsioni del capitolato”. E così la struttura, fondamentale per il sistema di sicurezza delle Nazioni che si affacciano sul Mediterraneo ed aderiscono all’Alleanza Atlantica, stando a quanto ricostruisce l’accusa, attualmente poggia su cemento scadente e insufficiente fornito dalla camorra casertana attraverso le loro ditte di riferimento.
Il dettaglio emerge tra gli atti dell’inchiesta della Dda di Napoli culminata ieri in un’ordinanza di arresto per sette esponenti di spicco della cosca del casertano, tra cui due fratelli e un cugino del boss latitante dal 1996, in cima alle classifiche dei ricercati più pericolosi. Sull’appalto del centro radar ultimato nel febbraio del 2004, i pm indagano con l’ipotesi di “frode in pubbliche forniture” con l’aggravante di aver agevolato l’associazione camorristica.
Per questa vicenda sono indagati Pasquale Zagaria, Michele Fontana (rispettivamente fratello e cugino di Michele Zagaria) e il direttore dei lavori per conto della stazione appaltante, il ministero della Difesa. Tra gli indagati ci sarebbe anche Immacolata Capone, la dark lady della camorra di Afragola, se non fosse stata uccisa in un agguato a Sant’Antimo nel pomeriggio del 17 marzo 2004, colpita a morte da una quindicina di proiettili calibro 9 esplosi da un commando di killer. La Capone, legata sia al clan Moccia di Afragola che al clan degli Zagaria, era socia di una ditta di movimento terra ed aveva stretto rapporti di affari coi Casalesi.
In uno stralcio d’inchiesta, relativo sempre a questo appalto, sono indagati anche il responsabile della Dec spa, appaltatrice dell’opera, il direttore tecnico della “Edil Padiro”, di cui la Capone era l’amministratore di fatto e il titolare della Gima srl, incaricata dei lavori di impiantistica. Secondo l’accusa l’ utilizzo di materiali scadenti avrebbe consentito “lo storno di parte rilevante delle somme corrisposte in seguito alla presentazione degli stati di avanzamento”. Il clan, insomma, sarebbe riuscito a fare la cresta in barba alla Nato.