Esattamente 40 anni veniva approvata la legge 1044 che istituiva gli asili nido in tutta Italia. Merito anche del lavoro di tante educatrici bolognesi che imposero il tema all’attenzione politica nazionale e fecero diventare il nido un “servizio sociale di interesse pubblico”. Simbolo di quel periodo, come ricordato nel documentario La febbre del fare, fu Adriana Lodi, assessore all’infanzia all’epoca del sindaco Fanti, che nel 1968 andò a spese proprie sia Stoccolma in Svezia che ad un convegno a Copenaghen in Danimarca per studiare i nidi pubblici scandinavi, e tornata a Bologna lanciò quella che sarebbe stata una rivoluzione per tutte le donne italiane, che grazie ai nidi furono finalmente libere di potere entrare nel mondo del lavoro.
Per celebrare i 40 anni dei nidi pubblici in tutta Bologna nel fine settimana ci saranno feste e celebrazioni. “Bene il ricordo, ma la situazione è drammatica – spiega l’assessore provinciale ai servizi sociali Giuliano Barigazzi – per la prima volta è realmente in gioco la tenuta del sistema scolastico per l’infanzia”. A sostegno della sua denuncia Barigazzi porta il numero dei bambini che quest’anno non sono riusciti ad accedere alla rete dei nidi. “Sono più di 1200, e per la maggioranza si concentrano nella città di Bologna”. Come uscirne? “Senza un piano nazionale che aiuti finanziariamente i Comuni non sarà possibile nemmeno mantenere l’attuale livello di servizio, e intendo anche quei 3 nidi su 10 che già adesso sono gestiti da cooperative che hanno vinto un bando di gara”.
“Siamo orgogliosi per quello che Bologna ha fatto in passato – spiega Mirco Pieralisi, consigliere comunale eletto nelle liste di Sel – ma proprio per questo c’è amarezza, il servizio pubblico sta sparendo pezzo dopo pezzo, e non riusciamo più a fare fronte alla domanda”. Una situazione critica che non sembra volere migliorare nemmeno dopo i cambiamenti organizzativi decisi dal Comune di Bologna per tagliare sui costi del personale attraverso la variazione del rapporto educatori–bambini. Da 1 a 4 per i lattanti e 1 a 6 per i bambini fino a 3 anni si è passati ad 1 a 5 e 1 a 7. Un peggioramento che ha spinto molte educatrici a denunciare l’impossibilità di mantenere la qualità del servizio e, quando si è trattato di votare sulla decisione della Giunta, ha portato in massa il personale dei nidi comunali a bocciare la novità. Inutilmente, perché la cosa è stata imposta senza altre discussioni. “Quarant’anni fa c’era un altro mondo, non abbiamo più le risorse per tornare ai numeri del passato”, ha detto l’assessore comunale alla scuola Marilena Pillati.
“Oggi c’è davvero poco da festeggiare”, spiega Wilma Fabiani del sindacato Usb. “Il Comune non riesce più a aprire nidi, e quando succede lo fa cedendo la gestione alle coperative, in pratica privatizzando con il metodo del project financing e con le gare al massimo ribasso“. Una realtà, quella della gestione dei servizi per l’infanzia date alle cooperative, che a Bologna non è più un mistero per nessuno. “Se a Bologna in futuro apriranno altri nidi, sappiamo tutti che non saranno gestiti dal Comune ma dalle grandi cooperative”, ha detto ieri sera in un dibattito Leonardo Callegari, veterano della cooperazione bolognese e presidente di Csapsa, Cooperativa sociale per l’inclusione.
“Le educatrici e gli educatori delle cooperative sono pagati il 30% in meno di quelli comunali. Ormai mesi fa abbiamo più volte chiesto al sindaco di Bologna Virginio Merola un accordo integrativo per pareggiare il loro stipendio a quello di chi lavora nel pubblico”, spiega Michele Vannini della Cgil bolognese. Risultato? “A parole Merola si è dichiarato più volte disponibile. Ad oggi però non c’è stata ancora nessuna convocazione.”