Per ridurre il debito finanziario si stanno imponendo marce forzate a intere popolazioni, a danno quasi esclusivamente delle conquiste e dei diritti sociali. Vengono fissate date ultime per un astratto “pareggio di bilancio”, entro le quali, in definitiva, continueranno ad essere assicurate le ricchezze dell’1% della popolazione e invece pesantemente tagliate le prospettive di vita dignitosa del restante 99%. Quando si parla di futuro, tutta l’attenzione dei governanti che vediamo sfilare quotidianamente sui nostri teleschermi sembra spasmodicamente concentrata solo sulle brame degli speculatori e attratta unicamente dagli andamenti dei mercati. Non si parla che di questo, con un fatalismo che ammutolisce la gente comune.
Proprio in questi giorni, si è aperta a Durban la Conferenza sul clima: un appuntamento vitale per il futuro del pianeta, di cui, tuttavia, la stampa si disinteressa completamente. Il debito irreparabile verso la natura non fa notizia! Eppure si potrebbe preservare l’ambiente e ridurre le emissioni inquinanti a costi ragionevoli, anzi, farebbe bene all’economia. Anziché a una concentrazione di gas serra di 450 parti per milione – obiettivo niente affatto scontato dei negoziati in corso – il mondo potrebbe arrivare a 350 ppm. E può farlo spendendo una percentuale di Pil minore di quella che gran parte delle nazioni dedica alle spese militari, creando in più ricchezza e occupazione, contribuendo a uscire dalla crisi e a ridurre il debito finanziario. Si potrebbe raggiungere “quota 350” entro il 2100, eliminando il carbone entro il 2030, riforestando su larga scala, puntando decisamente al sole e al risparmio. E, nell’ipotesi di un prezzo del barile sopra i 150 dollari, con notevoli benefici economici e con investimenti tra l’1 e il 3% del prodotto interno lordo globale.
Sogni e chimere? Proprio no. Ben 68 Paesi nel mondo destinano oltre il 2,5% del loro Pil alle spese militari e i due più grandi emettitori mondiali di CO2, Usa e Cina, continuano incoscientemente la corsa agli armamenti. Si può invertire questa direzione insensata? Forse sì, se si pensa che il gigante asiatico, nonostante una crescita fin qui “sporca”, spenderà dal 2012 il triplo per ridurre le emissioni, mentre gli Usa seguitano a dedicare al clima solo un sesto del bilancio militare (il rapporto tra spesa militare e stanziamenti per mitigazione e adattamento è di a 1 a 2-3 dollari in Cina e di 41 a 1 in America). Non si tratta solo di una questione di spostamento di quote di bilancio. Secondo i vertici militari americani (Quadrennial Defense Review), un miliardo di dollari se speso in armamenti creerà circa 8mila posti di lavoro, se speso per potenziare il trasporto pubblico 20mila, se speso per l’efficienza energetica negli edifici o per le infrastrutture circa 13mila.
Perché non se ne parla quando ci si cimenta con la terribile crisi in corso? Perché Monti non dà un taglio alla spesa militare e investe in tecnologia verde anziché nell’acquisto dei previsti cacciabombardieri F35? Perché a Durban non si fa un passo avanti sul disarmo a favore della salvezza del pianeta?