Siamo così sicuri che i comportamenti mafiosi riguardino soltanto le Mafie con la maiuscola – quella siciliana, la ‘ndrangheta calabrese e la camorra napoletana – e non piuttosto comportamenti generalizzati della stragrande maggioranza della popolazione, in un Paese da sempre pervaso da familismo criminogeno?
Nel mio libro “maledetto” (secondo Marco Travaglio) Il Tonto, definivo la famiglia come assemblaggio paranoide di parenti vicini & lontani. Tanto è vero che l’ottimo Luigi Barzini, nel suo dimenticato saggio Gli Italiani, oggi disponibile soltanto in inglese, scriveva che in Italia “il primo centro di potere è la famiglia”. Mentre Leo Longanesi avrebbe voluto che sul tricolore venisse apposta la scritta “tengo famiglia”.
“L’organizzazione legittima o illegittima della quale la famiglia fa parte, è il gruppo, il clan, il partito politico, la camarilla, la combriccola, la consorteria, la setta, l’associazione, l’alleanza aperta o segreta – enumera Barzini – ma per quanto potenti possano essere altrove queste consorterie, di rado esse hanno l’importanza che hanno sempre avuto e hanno tutt’ora in Italia”.
Infatti gli italiani, al contrario di quel che credono gli stranieri, son tutt’altro che individualisti, vista & considerata la loro fedeltà e il loro servizio prestato ad “organizzazioni che molto di rado sono quelle ufficiali”.
Questo peculiare tratto italiota venne colto anche da Antonio Gramsci, il quale confermava che “al partito politico e al sindacato moderni si preferiscono (…) le cricche, le camorre, le mafie, sia popolari sia legate a classi alte”, in base a poche ed elementari regole. Come l’astenersi dal parlar chiaro, vista & considerata l’oscurità vigente in tutti i campi; coltivare la propria famiglia tenendosi caro il maggior numero di amici e persino taluni pericolosi nemici, sapendo che i conflitti invece di esser regolati dalle leggi, si risolvono in un puro & semplice confronto di potere; scegliere i compagni e i protettori anche tra i nemici, secondo l’antico precetto italiota del fidarsi solo di uomini di poco conto, che regolarmente producono danni inversamente proporzionali alla loro pochezza, non altrimenti spiegabili.
Tanto è vero che persino Benito Mussolini apprezzava per lo più sottoposti servili e inetti – ci ricorda Barzini che consigliava ai giovani di “nascondere la propria intelligenza”. Ibidem per l’altro Benito cioè Craxi.
Nonostante “in quasi tutte le imprese private i sistemi concorrenziali dell’Occidente lottino contro i metodi tradizionali italiani e spesso prevalgano – proseguiva Barzini –, la pressione insopportabile della libera concorrenza, questa selezione che favorisce di preferenza persone (…) i cui unici meriti sono quelli di superare gli esami, di far bene il loro lavoro e di conoscere il loro mestiere, infastidisce la maggior parte degli italiani (…) una delle ragioni per cui le rigide organizzazioni di ogni genere che i partiti non liberali propongono, incontrano tanto favore in Italia”.
“Il popolo, nel mondo pre-industriale, amava le sue corporazioni, che regolavano ogni mestiere e ogni occupazione dall’apprendistato alla tomba”, tanto è vero che il popolo italiano “prima della guerra, si sentiva a suo agio nel regime fascista, che impediva ogni concorrenza considerandola pericolosa per lo Stato e circondava il Paese con insormontabili barriere doganali; e, oggi, ama ogni tipo di socialismo, marxista o cattolico, purché consenta agli ambiziosi di farsi avanti avvalendosi della protezione di parenti influenti, dell’aiuto della propria consorteria, del proprio fascino personale, di particolari capacità nell’adulare la gente”, come mi pare abbia riconfermato il Caimano, mirabile reincarnazione delle s/toriche virtù italiote: la doppia morale, l’assenza di etica & via discorrendo.
Foto di Gianpaolo Ruzzo, photocomposit di Ivan Pes