Angelino Alfano ne è convinto: “Cari amici, con l’uso del tablet a Ballarò e la comunicazione in diretta con voi, siamo stati i primi! Ce lo riconosce anche il Fatto Quotidiano, leggetelo: imperdibile!” ha scritto mercoledì su Facebook. Ospite il giorno prima alla trasmissione di Floris, durante un intervento di Rosy Bindi il segretario del Pdl ha sfoggiato un iPad bianco e si è mostrato a favore di camera mentre pistolava su Facebook.
Alfano non è il primo che porta in tv uno schermo connesso. Prima di lui Matteo Renzi a In Onda aveva fatto qualcosa di simile con l’iPhone. E sempre di più sono anche i giornalisti smanettoni e televisivi (come Franco Bechis di Libero, ma non è il solo). Angelino ha però compiuto un passo avanti perché ha voluto rivendicare politicamente il suo gesto. L’ha fatto pubblicando sempre sulla pagina Facebook il post di un bravo blogger che ospitiamo sul nostro sito: Dino Amenduni, ragazzo prodigio dei social network e in forza all’agenzia Proforma di Bari (la stessa che cura la comunicazione di Nichi Vendola).
Secondo Dino, “Alfano con la sua mossa ha imposto un’accelerazione a tutti gli altri leader: se non avrai l’iPad in studio, da domani, apparirai vecchio”. In realtà il ragionamento di Amenduni non ha convinto tutti: “Se basta un iPad in diretta per essere politicamente credibili, il miglior augurio che si può fare a questo paese è di essere centrato in pieno da un meteorite” il commento più votato al suo post. Di tutt’altro parere proprio il segretario del Pdl che sempre su Facebook, pubblicando il post di Amenduni, ha aggiunto: “Ovviamente stiamo parlando di quelli de Il Fatto… dunque nessuna indulgenza nei confronti del presidente e miei, ma un bel riconoscimento al nostro nuovo modo di comunicare”. I giornali di centrodestra, sia Libero che il Giornale, hanno dato molto risalto alla vicenda e al “nostro” riconoscimento (anche se i blogger che scrivono sul nostro sito non necessariamente esprimono le posizioni del Fatto).
Eppure il tema generale dell’uso del web in politica e in tv – senz’altro interessante – va al di là del singolo episodio: il ragionamento da fare è più ampio. Internet è una tecnologia recente del quale tutti siamo utilizzatori e cavie. Ma oltre agli indubbi benefici che tutti conosciamo – li scriviamo ogni giorno – tutta una nuova letteratura (da Sherry Turkle a Jaron Lanier) sta da tempo approfondendo i meccanismi ipnotici e ossessivi che facilmente subiamo con la tecnologia. Vi è mai capitato di parlare con qualcuno mentre naviga davanti al computer? Vi è mai capitato di controllare la posta elettronica continuamente anche se non aspettate nessuna mail? Vi è mai capitato di chiudere una telefonata condotta mentre controllavate Twitter e a fine conversazione non ricordare quello che vi è stato detto? Ancora, vi è capitato di accendere il computer – o il tablet, o lo smartphone – la mattina e cadere in un loop ipnotico che vi porta a consultare quei sette-otto siti, e di ripetere quel loop decine e decine di volte durante il giorno?
Se ne parla poco, perché l’esperienza ha un che di masturbatorio (e quindi di imbarazzante), ma queste ossessioni riguardano tutti. Nascerà forse presto un’ “educazione digitale” che ci spiegherà come usare la Rete senza farci usare. Ma bisogna cominciare a dire che la tecnologia porta con sé gesti di maleducazione spacciati per multitasking. Come è frustrante parlare con qualcuno mentre naviga, ugualmente non si capisce come un talk show possa essere utile agli spettatori se gli ospiti, quando non parlano, compulsano il contatore dei fan su Facebook. Se si distraggono insomma, e non per cercare dati, ma per specchiarsi.
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Il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2011