Da quando il Tar di Milano ha chiesto all’Università di Pavia di rimborsare gli studenti per il costo troppo alto delle rette, il dibattito pubblico è tornato a occuparsi di liberalizzazione delle tasse universitarie. Abbiamo discusso di questi temi quando il Senatore del Pd Pietro Ichino si è fatto promotore di un’interrogazione parlamentare che proponeva di introdurre in Italia il Modello Browne, alzando le tasse universitarie sino a 9000 sterline (10.000 euro) l’anno. Il recente articolo di Andrea Ichino e Daniele Terlizzese ci riprova. Poiché l’articolo è lungo, rimando i lettori interessati a questo link, dove troveranno un’analisi completa della proposta. Per comodità del lettore ne riassumo qui i nodi principali.
- L’articolo di Ichino e Terlizzese propone di triplicare le tasse universitarie e di indebitare gli studenti per quarant’anni.
- Propone di sostituire il diritto allo studio con prestiti d’onore in un processo che ignora e svuota di significato l’articolo 34 della Costituzione.
- Tutto l’articolo si regge su una relazione causale acrobatica secondo cui la crescita dell’indebitamento studentesco consentirebbe di aumentare, a un tempo, i redditi degli studenti migliori, l’eccellenza universitaria e le immatricolazioni, tutte cose ampiamente smentite dai fatti.
- Al fine di dimostrare che l’indebitamento consentirebbe di aumentare, a un tempo, redditi, eccellenza e immatricolazioni, propone simulazioni discutibili nel metodo e nel merito.
- La proposta suppone che, qualora tale processo virtuoso non si realizzasse, la causa sarebbe da ricercarsi non tanto negli azzardi teorici degli autori, bensì nei “comportamenti perversi” (p. 51) di atenei e studenti, ragione per cui su di loro bisognerebbe rivalersi.
- La proposta presenta l’intero modello come un processo a somma positiva, in cui, dunque, guadagnano tutti, in un’operazione intellettualmente disonesta, perché gli effetti negativi semplicemente non vengono discussi.
- A fronte di un guadagno diretto e indiretto di atenei e stato, che si avvantaggerebbero di tasse triplicate e di un finanziamento pubblico all’Università fortemente ridotto, non vi è cenno agli effetti che tutto questo avrebbe sugli studenti e i risparmi delle famiglie.
- A p. 51 l’articolo ammette che qualora l’insolvenza studentesca superasse del 50% le simulazioni, sarebbero necessarie “correzioni di rotta” come ad esempio l’introduzione della regola bonus-malus. Ma trascura di dire che gli effetti del bonus-malus coinciderebbero necessariamente con una più stringente selezione degli studenti che possono accedere al prestito (e dunque alle immatricolazioni e all’istruzione terziaria), o con una crescita incontrollata del debito.
- L’articolo utilizza vezzeggiativi dolciastri per giustificare l’utilizzo dei risparmi delle famiglie per finanziare i prestiti, sottolineando il valore simbolico di tale “solidarietà generazionale”, ma non dice che in ultima analisi ciò significherebbe non solo che i risparmi delle famiglie andrebbero a finanziare l’Università pubblica in parte al posto dello stato, ma che gli studenti sarebbero costretti a indebitarsi per fruirne.
- Non dice che negli Stati Uniti lo strumento dei prestiti d’onore ha portato il debito totale degli studenti a quote tali da superare il debito generato dalle carte di credito, al punto che la stessa Moody’s da tempo annuncia l’inevitabile scoppio della bolla del debito studentesco, come opportunamente spiega l’articolo di De Nicolao.
- Descrive l’intera proposta come uno strumento capace di “autofinanziare” l’università, dimenticando che dietro alla mano invisibile del finanziamento ci sarebbero studenti costretti a indebitarsi per quarant’anni.
- Mistifica il concetto di equità, suggerendo che l’università pubblica grava eccessivamente sulle famiglie meno abbienti, dimenticando che tutti i cittadini contribuiscono al finanziamento dell’università tramite la fiscalità generale, ma le aliquote fiscali crescono con il reddito, il che significa che sono già differenziate per il reddito.
- Dimentica che l’equità non si raggiunge triplicando le tasse, ma consentendo a tutti coloro che contribuiscono al finanziamento all’Università pubblica di accedervi, finanziando il diritto allo studio, garantendo una borsa di studio agli aventi diritto, e reintegrando tutte le risorse che negli ultimi anni sono state tagliate in modo scellerato.
- Mistifica il concetto di efficienza, la qual cosa pone un problema complesso, in quanto i benefici dell’istruzione non si misurano sulla base del reddito né sui “fattori produttivi” o gli “effetti sulla tecnologia”. Piegare le finalità dell’educazione ai soli fattori produttivi significa attenersi a un concetto di istruzione arido, riflesso di una visione distorta della società che ignora l’importanza di tutto ciò che la abita: la salute delle persone, l’autonomia intellettuale, la partecipazione politica, la vitalità culturale, la pedagogia o la cura. Tutte cose oramai condivise, anche se agli autori non sono venute in mente.