Il critico d’arte, noto per lo più come agitatore dei talk show e invitato nei panni di gridatore esperto, riesce a firmare venti righe senza una parolaccia né un’offesa, neanche minima. Non gli è scappato neanche un “capra” tra parentesi. Farebbe tenerezza se non fosse che la buona educazione appare solo una facciata. Giustificata esclusivamente dalla volontà di evitare la condanna a cui va incontro, insieme a Vittorio Feltri, per aver pesantemente diffamato l’ex procuratore di Palermo, Gian Carlo Caselli. E così è stato costretto a rimangiarsi il fango che aveva allegramente gettato addosso al pm in due articoli in particolare: “Io, accusato di essere mafioso, vi dico che Silvio è in pericolo”, pubblicato il 26 novembre 2009, e “Sedici anni di processo: il ministro era innocente”.
In sintesi, nei due articoli, Sgarbi si scagliava contro le accuse sostenute dalla procura di Palermo nei processi a carico di Andreotti, Mannino, Musotto, Frittitta e Lombardini. Ma il procuratore non l’ha ovviamente presa bene, ritenendo non solo infondati ma anche gratuiti e offensivi i contenuti degli articoli. Così, il procuratore, si è difeso come può: in silenzio, querelando. Il procedimento sta arrivando all’epilogo e proprio per scongiurare l’esito fin troppo scontato, Sgarbi tenta di correre ai ripari. La letterina strappalacrime, infatti, si chiude con un eloquente invito al “dottor Caselli” che “provvederà a rimettere la querela nei confronti miei e del Direttore, che sottoscrive questa dichiarazione”.
Anche perché già nel gennaio 1998, l’allora parlamentare Sgarbi, era stato condannato dalla procura di Torino a otto mesi di reclusione e al pagamento di cento milioni di lire per avere diffamato il procuratore Caselli, rischiando anche il carcere. Dunque meglio correre ai ripari. Scusandosi. La lettera è chiara.
Sgarbi si è reso conto di aver sbagliato. Certo, c’è voluto il rinvio a giudizio, per spingerlo a rileggere “gli articoli”. E così, scrive, “mi sono reso conto che i fatti da me riportati in merito a quei processi non corrispondevano al vero e che le fonti delle notizie in cui riponevo piena fiducia, si erano rivelate inattendibili”.
Come nel caso Dino Boffo, dunque, anche su Caselli, il quotidiano della famiglia Berlusconi pubblica notizie diffamando chi vuole, fidandosi del primo che passa e senza compiere alcuna verifica. Per Boffo era stata una “informativa anonima” e per Caselli, si scopre, “fonti inattendibili”. Non è un caso infatti che chi è passato per la direzione de Il Giornale negli ultimi anni sia stato anche sospeso dall’Ordine dei Giornalisti. Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti. Ma certo l’inviato di punta era l’agente Betulla. Non c’è verso di far verificare una notizia. Per dire, qui al Fatto Quotidiano, “il giornale delle procure”, arrivano molte “informative anonime” e suonano tantissime presunte fonti. Lasciano la loro storia e verifichiamo ciò che riteniamo meritevole di attenzione. Poi lavoriamo. Cioè cerchiamo fonti attendibili e riscontri non anonimi. Quando ci sono, si scrive, altrimenti no. Ecco, se fossi il papà di Gian Burrasca gli toglierei la punizione, spiegandogli quali sono le regole che si devono rispettare per non ripeterle più. Sgarbi è grandicello ormai e ha molta esperienza. Da uomo adulto e responsabile sicuramente si rimprovererà da solo, magari allo specchio: “Capra, capra, capra!”.
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