Aurélien Delpirou e Stéphane Mourlane, geografo e storico, analizzano le contraddizioni della vita politica italiana dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi del 12 novembre.

Titolo originale: Du berlusconisme plein la Botte
Testata: Liberation
Autore: Catherine Calvet
Data: 19 novembre 2011
Tradotto da Claudia Maura per italiadallestero.info

Che posto occupa il berlusconismo nella storia politica italiana del XX secolo?
Il giorno delle dimissioni di Berlusconi è stato considerato da parte della stampa italiana come “una giornata storica” che ha segnato la fine di un’epoca. Per diciassette anni, il Cavaliere è stato il perno della vita politica italiana: tre volte presidente del Consiglio, detiene il record di longevità in quel ruolo dall’istituzione della Repubblica Italiana, nel 1946.
L’italianista Marc Lazar ha così potuto parlare di un “momento Berlusconi”, che comincia nel 1994, quando l’Italia vive una profonda crisi segnata dal tracollo dei due poli del sistema politico, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, così come dalle rivelazioni sulla corruzione. Silvio Berlusconi si presenta immediatamente come simbolo di cambiamento e occupa lo spazio politico a centro-destra orfano della Democrazia Cristiana.
Il berlusconismo non ne è però l’erede, non più di quanto sia un fascismo, come alcuni hanno potuto credere in virtù della personalizzazione del potere, dell’impero mediatico e dell’alleanza con i neofascisti. Il berlusconismo offre una nuova interpretazione del gioco democratico, estendendone certi aspetti, quali il gioco delle intese elettorali o la corruzione.

Dove s’inserisce?
Il berlusconismo è riuscito a imporre una forma di egemonia culturale sul paese, a partire da un corpus ideologico eterogeneo che cristallizza le contraddizioni della società italiana: “rivoluzione liberale” ma atteggiamento compassionevole (da Napoli a L’Aquila), individualismo ma difesa delle reti di potere (ordini professionali, partiti, Chiesa), attaccamento all’Europa ma esaltazione del sentimento nazionale, affermazione del ruolo dello Stato ma sostegno al federalismo, modernità in programma ma affermazione dei valori tradizionali.
Il berlusconismo è al tempo stesso una nuova forma di pratica politica, che mette le tecniche del marketing al servizio di una mediatizzazione molto forte. Silvio Berlusconi ha catalizzato attorno a sé coalizioni di forze in parte antagoniste, come i federalisti della Lega Nord ed i nazionalisti di Alleanza Nazionale. L’elettorato spazia dai liberi professionisti delle grandi città, ai piccoli imprenditori del Nord, ma anche alle popolazioni poco istruite dell’Italia meridionale, preoccupate per le recenti evoluzioni dell’economia italiana. Tra il 1994 e il 2006, il Cavaliere ottiene i suoi risultati migliori tra gli imprenditori della ricca pianura padana, ma anche tra i derelitti della Sicilia.

Il berlusconismo sparirà? Si può ancora parlare di bipolarismo oggi?
Il berlusconismo non sarà una parentesi. Numerosi osservatori ritengono che il ruolo della comunicazione nel gioco politico, il radicamento del liberalismo o ancora la riabilitazione di una destra in rottura con il passato fascista, siano eredità durevoli. Silvio Berlusconi ha indubbiamente apportato un po’ di stabilità alla vita politica italiana, approfittando abilmente delle riforme elettorali. Ha messo un termine alla partitocrazia che ha caratterizzato la Prima Repubblica? È tutt’altro che scontato.
Un agglomerato eterogeneo fondato sulla personalità di un capo, sprovvisto di una vera base territoriale, il Popolo della Libertà [PDL, nato dalla fusione di Forza Italia, il partito di Berlusconi, con alleanza Nazionale N.d.R.] esce indebolito dalla caduta del Cavaliere e minato da correnti e rivalità personali. A sinistra come a destra, le forze centrifughe sembrano imporsi per ridisegnare un mosaico di partiti.

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