Torino, Varese e Novara rilanciano il ruolo delle province chiedendo maggiori competenze. L’appello dei presidenti dei tre enti locali, Antonio Saitta (Pd), Dario Galli (Lega Nord) e Diego Sozzani (Pdl), riapre il dibattito politico sul ruolo degli enti locali intermedi, in vista della prossima assemblea dell’Unione delle province italiane. Da lunedì a mercoledì prossimo si svolgerà a Roma l’assemblea dell’Upi, nel corso della quale verranno esposti i risultati di uno studio sui costi e sulle prospettive di riassetto delle province italiane, affidato all’Università Bocconi di Milano. Un’analisi che “senza assumere posizioni pregiudizialmente favorevoli o sfavorevoli – come si legge nelle anticipazioni -, ha cercato di ricostruire un quadro attendibile delle entrate e delle spese delle province e di valutare il quadro complessivo dei costi e dei benefici connessi all’eventuale riassetto di questi enti intermedi”.
I primi dati divulgati dalla Bocconi quantificano in 11,5 miliardi di euro (di cui 8,6 di spesa corrente e 2,9 di investimenti), la spesa complessiva delle province nel 2010: di questa cifra, il costo medio per abitante è di 193 euro all’ anno. Degli 11,5 miliardi di euro, solo l’1,4% è imputabili ai costi della rappresentanza democratica, per 126 milioni di euro l’anno, che comprendono indennità e rimborsi dei politici oltre ai costi diretti sostenuti per le consultazioni elettorali. I tre presidenti di provincia, appartenenti a tre diverse aree politiche, hanno costituito un tavolo di lavoro per ribaltare il punto di vista della dialettica pro e contro questi enti.
Antonio Saitta (Provincia di Torino), Dario Galli (Provincia di Varese) e Diego Sozzani (Provincia di Novara) hanno sottolineato come siano numerosi i colleghi che protestano per la mancanza di fondi: “La realtà è che senza la collaborazione dei soggetti territoriali, come le fondazioni bancarie, avremmo potuto fare ben poco di quanto messo in atto finora dalle nostre amministrazioni. Per questo chiederemo che alle province vengano assegnati ruoli e responsabilità davvero in grado di incidere direttamente sul benessere e sulla sicurezza della cittadinanza”. Trasporti, edilizia scolastica, promozione territoriale e politica per il lavoro saranno materia degli enti intermedi di area vasta. “Se il problema è il costo della politica – chiarisce Galli – con l’abolizione delle province il potenziale risparmio verrebbe assorbito da funzionari regionali che potrebbero trovarsi a decidere su territori che magari nemmeno conoscono. Detto ciò, la questione non è solo funzionale, ma dimensionale. Non possiamo avere province con 50mila abitanti, ma nemmeno regioni che hanno la metà degli abitanti della provincia di Varese”.
Si contrappongono due esigenze diverse: da una parte la tradizione dell’istituzione più longeva dell’Unità nazionale, dall’altra l’esigenza di alleggerire la spesa pubblica, addebitando alle province le prime poltrone della casta politica. “La polemica sul riassetto degli enti locali parte da una logica economica. Il problema – spiega Sozzani – è che qui si è fermata. La vera questione sta nelle competenze, più carenti e deficitarie dei fondi a disposizione delle amministrazioni, che ci consentono appena di effettuare la manutenzione delle strade”. Uno degli aspetti su cui puntano l’attenzione i tre presidenti, riguarda i tempi di approvazione dei piani di governo del territorio (Pgt) dei comuni. Anni e anni di attesa che si traducono in un blocco dello sviluppo e una conseguente penalizzazione dei territori. Secondo i presidenti, se fossero le province a occuparsi dell’iter burocratico relativo alle pratiche urbanistiche, il percorso sarebbe più semplice e consentirebbe alle realtà locali di attirare nuove imprese. Oltre all’economia, secondo Galli, Sozzani e Saitta, si potrebbe agire in materia di sicurezza del territorio, ad esempio sul fronte della pulizia degli alvei dei fiumi e dei canali. Se le province avessero più autonomia, si accorcerebbero i tempi di autorizzazione: “Un percorso – ricorda Saitta – che Torino ha già avviato positivamente diventando stazione appaltante per l’autorità di bacino del Po e realizzando interventi per diversi milioni di euro per la messa in sicurezza delle sponde del Pellice dopo l’alluvione”. Insomma, secondo la tesi esposta nell’appello, province grandi, forti e moderne sarebbero nell’interesse di tutti e garantirebbero una distribuzione più omogenea dei benefici legati all’indotto delle grandi opere pubbliche e delle strategie industriali e commerciali.