Il Giappone ha deciso di bandire dai negozi del Paese anche il cereale proveniente dal distretto di Onami. Dopo la carne, il pesce, i funghi ed il tè, ora tocca quindi all’alimento base della dieta nazionale. Nel frattempo, attorno a ciò che rimane della centrale atomica distrutta dallo tsunami dello scorso 11 marzo, continuano i lavori di decontaminazione. Che, secondo l’Atomic Energy Commission, dureranno almeno trent’anni
I problemi legati al cibo prodotto in Giappone in seguito alla tragedia nucleare erano già stati evidenziati alcune settimane fa da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of National Academy of Sciences (Pnas), secondo cui la contaminazione radioattiva prodotta dall’incidente di Fukushima ha raggiunto una porzione ben più ampia di quanto non sia stato ammesso finora. In particolare, la quantità di Cesio-137 presente nel suolo di molte aree del Paese sono aumentate in modo inquietante.
Rimanendo contaminante per tre decenni, questo elemento può infatti provocare danni irreparabili ai prodotti della pesca, dell’agricoltura e dell’allevamento. Già in luglio il governo di Tokyo decise di bandire tutta la carne di manzo proveniente dalla prefettura di Fukushima, dopo che la carne di oltre 500 capi di bestiame a cui era stato dato da mangiare fieno contaminato era stata spedita in ogni parte del Paese. Un destino toccato, sempre la scorsa estate, anche a verdura, latte e addirittura tè verde, seppure coltivato a circa 400km dalla centrale.
Psicosi o prudenza? È ancora presto per poterlo dire. I risultati dei test condotti nelle scorse settimane sul riso di Fukushima in effetti sono stati espliciti: ogni chilogrammo di quello raccolto nelle zone analizzate della prefettura contiene fino a 630 becquerel di cesio, mentre i limiti di sicurezza imposti dal governo sono di 500 becquerel. Un fatto che ha portato immediatamente il governo di Tokyo ad imporre al governatore della prefettura stessa, Yuhei Sato, di bloccare subito il prodotto delle 154 aziende esaminate.
Nonostante il riso di Onami rappresenti solo l’1,8% di tutto quello raccolto in Giappone, i danni economici sono notevoli, e fra i consumatori nipponici rimangono non poche preoccupazioni. Se non altro perché i lavori di bonifica di quelle zone sono ancora ben lungi dall’essere conclusi.
Ci vorranno più di 30 anni per rottamare l’impianto nucleare di Fukushima Daiichi, fanno presente dall’Aec, mentre “Il trasferimento di combustibile esaurito dagli edifici dei tre reattori danneggiati della centrale ad una piscina all’interno del complesso avrà inizio entro 3 anni, dopo che i reattori saranno messi in arresto a freddo”. La rimozione del combustibile fuso all’interno dei reattori numero 2 e 3, invece, “avrà inizio entro 10 anni”. Un lasso di tempo generalmente sufficiente a fare dimenticare ogni preoccupazione.