Se i libri che si pubblicano sono indicativi della sensibilità morale e politica di un popolo, allora è lecito pensare che in Italia si sta rafforzando l’esigenza di un cambiamento che non sia semplice correzione, ma una radicale rottura con il regime di Berlusconi nel senso di una vera e propria rinascita civile.

Da pochi giorni sono infatti arrivati nelle librerie l’Elogio del moralismo di Stefano Rodotà (Laterza) e La questione civile di Roberta De Monticelli (Raffaello Cortina Editore). Fosse ancora viva la buonanima di Benedetto Croce, li commenterebbe sotto la rubrica ‘Letteratura della nuova Italia’, di una nuova Italia auspicata. Diversi per stile di pensiero e per sensibilità, i due libri sono documenti della sofferenza che abbiamo vissuto nei lunghi anni in cui il volto e le parole di Berlusconi penetravano ovunque, e le loro malefatte deturpavano la vita civile. Ma con altrettanta forza esprimono la volontà di vivere da cittadini liberi.

Roberta De Monticelli definisce infatti il suo saggio un “abbozzo di una filosofia del risveglio”, scioglie un “inno a Socrate” e chiude con un’ “invettiva finale e razionale” che nel paese dei toni sommessi e dei passi indietro è una lodevole eccezione. Stefano Rodotà scrive che “si riscopre un bisogno di moralità” e che è tempo di ridare al moralismo la forza di termine di denuncia e di “riflessione impietosa su quanto ci circonda e, insieme, precetto […] capace di suscitare se non rispetto in coloro ai quali si rivolge, riprovazione in quanti assistono all’inverecondo spettacolo”. Dove è il caso di rilevare che parlare di riflessione impietosa nel paese dei professionisti della comprensione (verso i criminali e i corrotti) è davvero un’altra musica.

I due saggi convergono anche nella proposta etico-politica. Roberta De Monticelli pone l’accento sulla giustizia. Quando il pensiero e la vita si rinnovano, scrive, ciò avviene grazie a “un risvegliarsi del sentimento di giustizia che è anche un approfondimento della conoscenza di nuovi strati o nuovi aspetti di questo valore. Morale, diritto e politica e forse religione [… ] si rinnovano a partire dalla giustizia”. E giustizia vuol dire in primo luogo porre fine alla “criminosa svendita di legalità in cambio di consenso”, e alla sistematica rapina nei confronti dei pubblici beni, a partire dalla bellezza del nostro ambiente naturale e delle nostre città e borghi.

Rodotà ci invita a ricordare che democrazia non vuole dire soltanto governo del popolo (entro i limiti definiti dalla Costituzione), ma anche governo ‘ in pubblico’, e dunque sono inammissibili tanto la menzogna, quanto la pretesa da parte dei politici, di non rendere conto dei propri comportamenti. Chi deride i moralisti non capisce, o fa finta di non capire, che chi ha l’onore di rappresentare i cittadini ha la responsabilità di dimostrare che la sua condotta pubblica e privata è irreprensibile e che merita dunque la fiducia che gli è stata accordata.

Letti l’uno dopo l’altro, i due libri indicano non soltanto una prospettiva ideale, ma anche una strategia politica che consiste nel mettere da parte gli atteggiamenti politici accomodanti verso gli uomini e i metodi del regime berlusconiano e imboccare invece la via dell’intransigenza.

A proposito della tesi che una politica accomodante con Berlusconi avrebbe permesso di conquistare il consenso dei ‘moderati’, Roberta De Monticelli scrive: “Stupisce che oggi, dopo che questo ripudio [della Costituzione] ha prodotto gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti, molti politici d’opposizione parlino ancora dei ‘ moderati’, quegli elettori ‘ moderati ’ che bisognerebbe riconquistare alla democrazia. Ma dov’erano questi ‘ moderati’? Dove sono? Può essere definito ‘ moderato’ un desiderio ed un programma di questo tipo?”.

Stefano Rodotà è altrettanto incisivo e sottolinea, a proposito della propensità di molti oppositori al compromesso con Berlusconi, che “quando comparve la proposta di riforma costituzionale della giustizia, subito si materializzò il singolare partito dei ‘sedersialtavolisti’. Ma chi mai accetterebbe di sedersi a un tavolo da gioco insieme a un baro, al tavolo di un ristorante dove il cuoco è un avvelenatore travestito da chef creativo?”.

Temo che saranno assai pochi i leader politici e gli intellettuali che signoreggiano nel mondo dei media che sapranno raccogliere la saggezza che questi libri offrono. È facile prevedere che vedremo invece dispiegarsi una politica e una cultura accomodanti all’insegna delle parole d’ordine ‘dimentichiamo’ e ‘lavoriamo tutti insieme’. Ma la storia insegna che questa è la ricetta per offrire ai servi del passato regime la possibilità di avere presto la loro rivincita e per avvilire ancora una volta le forze migliori che hanno lottato e lottano per fare dell’Italia un paese dove vincono i prepotenti e i furbi.

Il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2011

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