“Il cambiamento climatico è reale e può devastare le popolazioni artiche. La neve arriva più tardi e il ghiaccio si scioglie prima. I cacciatori cadono fra i ghiacci o rimangono intrappolati nella fanghiglia. Gli orsi polari sono così disperati per la mancanza di cibo che vanno in cerca nei bidoni della spazzatura delle città.” Ci ha messo 30 ore di aereo il cacciatore inuit Jordan Konek a portare la sua testimonianza alla conferenza internazionale sul clima da Arviat, la città dove vive sulle gelide coste occidentali della Baia di Hudson, fino a Durban, in Sudafrica. Ma il suo messaggio è stato forte e chiaro.
Il 28 novembre si è aperta a Durban la 17° conferenza annuale sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, che durerà fino al 9 dicembre. Partecipano i rappresentanti dei governi, le organizzazioni internazionali e la società civile. Il focus della discussione è l’implementazione del Protocollo di Kyoto, del Piano d’azione di Bali del 2007 e degli accordi raggiunti alla conferenza sul clima del 2010 a Cancun, in Messico. In base al Protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005, nel periodo 2008-2012 i 37 paesi più industrializzati al mondo e la comunità europea devono diminuire l’emissione di gas serra inquinanti di almeno 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990.
“E’ come mettere un fucile in bocca e tirare il grilletto. Gli inuit (le popolazioni indigene delle regioni artiche del Canada, della Siberia, della Danimarca e dell’Alaska – ndr) vedono il pericolo, e anche mondo deve conoscerlo” continua Konek, “sta accadendo proprio davanti ai nostri occhi”. Il 23enne Jordan e suo cugino Curtis di 21 sperano che il loro messaggio arrivi tramite i negoziatori dei 190 paesi che discutono per raggiungere un accordo su come combattere il riscaldamento globale, in quella che a settembre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha definito “una corsa globale per salvare il pianeta”.
Questa prima settimana tuttavia la conferenza di Durban non ha registrato alcun progresso e gli analisti temono un insuccesso completo nella seconda settimana. A confermarlo la posizione dell’India, che si è mostrata il maggior oppositore al nuovo trattato globale sul clima, che obbligherebbe tutti i paesi del mondo a tagliare le emissioni nocive. I rappresentanti indiani fino ad ora si sono rifiutati di approvare qualsiasi cosa che possa mettere un freno alla loro economia, che nonostante la crisi globale nel 2010 ha avuto una crescita stimata al 10,4%. Le emissioni inquinanti dell’India sono aumentate di oltre il 9% l’anno, il ritmo più veloce al mondo, e il paese si avvia a diventare il terzo paese per emissioni in atmosfera, dopo la Cina e gli Stati Uniti. L’India vuole in realtà confermare il Protocollo di Kyoto, che obbliga solo i paesi industrializzati e la Russia, che ha aderito nel 2004, a ridurre i gas inquinanti. L’India, la Cina e altri paesi in via di sviluppo erano stati esonerati dagli obblighi perché non considerati responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo di industrializzazione (fino al 1990).
I paesi non aderenti al momento sono responsabili di oltre il 40% dell’emissione mondiale di gas inquinanti. La Cina invece, che in anni passati è stato uno dei maggiori oppositori a nuovi accordi che includessero i paesi in via di sviluppo, a Durban ha mostrato segnali di flessibilità. Del resto anche gli Stati Uniti non aderiscono al protocollo di Kyoto, che scadrà nel 2012, benché siano responsabili di oltre un terzo delle emissioni totali, ma a Durban si sono dimostrati disponibili a un nuovo trattato a condizione che vi siano degli “obblighi simmetrici”, cioè che Cina e India aderiscano.
Diversamente dagli altri summit internazionali sul clima, a Durban solo 12 capi di stato, perlopiù dei paesi dell’Africa e delle isole del Pacifico, saranno presenti negli ultimi giorni di negoziazione. Si aspetta anche che il ministro canadese dell’ambiente Peter Kent annunci il ritiro del suo paese dal Protocollo di Kyoto e si unisca ad altri governi per annullarlo. Questo nonostante una relazione della Fao, l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite, dica che i cambiamenti climatici stiano causando la morte di un’ampia varietà di animali, come i leoni della zona del Serengeti in Africa, le tigri in India e le renne dello stesso Canada. Il 30% delle specie di flora e fauna sono a rischio di estinzione a causa del riscaldamento globale.
Jordan Konek vede lo stesso pericolo a Nunavut, dove ha intervistato gli inuit più anziani: “Il governo del Canada ignora come stia vivendo il cambiamento climatico la gente del posto. Gli animali soffrono e anche noi stiamo perdendo la nostra cultura di cacciatori”.