Molti sono rimasti colpiti dalle lacrime di un ministro e dal nobile gesto del presidente del Consiglio che ha rinunciato al suo stipendio. Le lacrime sono un fatto privato, anche se espresse in pubblico, quindi non me ne occupo. Riguardo alla scelta del presidente Monti, vorrei invitarlo a far marcia indietro. Il lavoro, tutto il lavoro, va pagato, quindi anche il suo.
Il risparmio poi per l’erario sarebbe minimo, così, come forse è il caso di dirlo, sarebbe risibile anche il ricavato dai famosi tagli al costo della politica. Si eliminerebbero certo privilegi odiosi; più che un intervento economicamente rilevante sarebbe un intervento contro il rapporto che diventa sempre più pericolosamente distante tra i cittadini e le strutture di governo democratiche. La campagna contro i costi della politica in realtà ne nasconde un’altra: quella che porta alla delegittimazione delle istituzioni parlamentari. Giusto tagliare, quindi, ma in quest’ottica, non pensando che la riduzione del numero dei parlamentari o il taglio dei loro stipendi ci porti fuori dalla crisi.
A Monti, invece di rinunciare al suo stipendio, mi permetto di suggerire una strada che potrebbe portare numeri assi più alti nelle casse dello Stato. Far pagare le tasse al principale evasore italiano: la Chiesa Cattolica. Capisco che è difficile e capisco che i mentori del suo Governo hanno preso impegni con le gerarchie vaticane. Tant’è che il presidente del Consiglio, non appena assunto il mandato, ha avuto come prima esigenza quella di incontrare il Papa, mentre i segretari dei tre principali schieramenti che lo sostengono in Parlamento si sono precipitati a rassicurare la Cei.
Il professor Monti ha detto che l’alternativa è tra il fallimento e i sacrifici, ebbene tale situazione impone di fermare qualsiasi genuflessione fiscale di fronte al Vaticano.
La Chiesa possiede il 22% del patrimonio immobiliare italiano. Si tratta di circa 90 mila immobili, per un valore di circa 30 miliardi di euro, su questo patrimonio non paga un centesimo di tasse. E’ esente sia per gli immobili di gestione e di culto (chiese, conventi, sedi vescovili, oratori e via discorrendo) ma anche per quelli strettamente commerciali: alberghi, ristoranti, negozi. Basta realizzare una piccola cappella nell’edificio, che diventa così addetto ad attività spirituali e di conseguenza esente dalle tasse.
Il risultato è una perdita secca per i Comuni italiani di più di 2 miliardi e mezzo, mentre per lo Stato la cifra stimata è di almeno 12 miliardi di euro. Per recuperare gran parte di questo denaro evaso, basterebbe tassare solo le attività che hanno una rendita economica e lasciare fuori le strutture che effettivamente non hanno fini di lucro e svolgono gratis assistenza ai poveri come le mense Caritas e altre attività simili.
Ma non si tratta solo di tasse evase. Le cinque università di proprietà della Chiesa Italiana, così come gli altri almeno 10 mila istituti scolastici religiosi (dove le famiglie pagano comunque rette elevate) e gli oltre 6 mila ospedali e case di cura ricevono dallo Stato circa 1 miliardo di euro. Veri e propri aiuti di Stato ad attività imprenditoriali private. Ma non è proibito dalle norme europee?