Un anno fa, di questi tempi, le Camere approvavano il cosiddetto collegato lavoro (la legge 183/2010). La sanatoria voluta dal passato Governo per colpire tutti i precari e le precarie.
Scopo della riforma era quello di rendere praticamente impossibile l’impugnazione dei contratti atipici (che fra l’altro nella gran parte dei casi sono illegittimi) da parte dei precari e delle precarie, introducendo tempi strettissimi per far valere i propri diritti. Una volta scaduto il contratto, se questo non viene impugnato entro 60 giorni, addio diritti. La vecchia normativa garantiva invece anni di tempo a chi intendeva fare causa al suo ex-datore di lavoro: con il Collegato lavoro, visto che l’arco di tempo entro il quale si può fare causa al proprio datore di lavoro si accorcia appunto a 60 giorni, o ci si muove per tempo, o dopo non si può più rivendicare niente!
È fin troppo facile immaginarsi i dubbi amletici di chi vive sotto il ricatto perenne del rinnovo: “Se impugno il contratto non me lo rinnovano più, ma se poi non lo rinnovano non posso più impugnarlo?” La precarietà è isolamento e disinformazione, ma soprattutto è ricatto e consenso: spezziamo questa catena.
Quindi attenzione! La norma del collegato lavoro entrata in vigore il 24 novembre 2010, è stata di fatto congelata con il decreto mille proroghe fino al 31 dicembre 2011. Ciò significa che i lavoratori i cui contratti a termine sono già scaduti hanno tempo fino al 31 dicembre 2011 per impugnarli. Non solo: il termine di 60 giorni a pena di decadenza, si applica anche per il caso di trasferimento, di cessione d’azienda, di appalti simulati (l’enorme galassia delle cooperative).
Ma non è finita qui. La riforma prevede che, anche nel caso fortunato che un lavoratore riesca a ottenere la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, ci sia un tetto al risarcimento massimo che il datore di lavoro può essere condannato a pagare. A prescindere da quanto tempo il lavoratore sia rimasto disoccupato per colpa del comportamento illegittimo del padrone, il risarcimento massimo sarà di dodici mesi di stipendio. Quest’ultima norma si applica pure alle cause in corso.