”Dicevano che lo spread saliva per colpa di Berlusconi”, si lagnava una settimana fa il segretario del Pdl Angelino Alfano, intervenuto a Verona. Ma l’accusa, affermava, si è dimostrata “un castello di sabbia costruito sulle menzogne, mentre noi continuavamo a urlare la verità e cioè che la crisi è mondiale. Hanno eliminato il nostro governo e si sono accorti che non è cambiato nulla”. Lo stesso giorno, intervistato da Sky Tg24, l’ex ministro Ignazio La Russa affermava che associare l’impennata del divario di rendimento tra titoli di Stato italiani e tedeschi al governo Berlusconi era semplicemente “una bugia”, perché lo spread restava alto anche con l’esecutivo di Mario Monti entrato in carica: “Grazie a questo esecutivo sappiamo che il governo Berlusconi non aveva alcuna responsabilità”, diceva La Russa con una certa soddisfazione.
Sarà, ma i nudi numeri raccontano una storia tutta diversa. All’indomani della dura manovra economica annunciata dal governo Monti, lo spread tocca il minimo dell’ultimo mese: 375 punti, con i rendimenti dei Btp a dieci anni sotto il sei per cento. Il massimo era stato toccato il 9 novembre: spread a 574 punti (con chiusura a 552), record storico assoluto che portava il rendimento del Btp decennale a 7,47 punti, un salasso per le casse dello Stato sul fronte degli interessi sul debito pubblico. “Uno spread come quello che avevamo prima, a 570 punti, significava non avere conti pubblici sostenibili, avere banche non in grado di finanziarsi e quindi un credit crunch totale”, commenta oggi il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.
Ma il 9 novembre non è un giorno qualunque. Vista la drammatica situazione dei mercati finanziari, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano imprime un’improvvisa accelerazione al quadro politico. Nomina senatore a vita Mario Monti, l’economista dell’Università Bocconi che da tempo è dato per favorito alla guida di un governo tecnico che sostituisca l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi. Taglia drasticamente, da un mese a una settimana, l’iter parlamentare della Legge sviluppo, nel tentativo di offrire qualche provvedimento concreto ai mercati e ai partner europei. Ottiene da Berlusconi, ormai privo di una maggioranza alla Camera, la formale assicurazione delle sue dimissioni da presidente del consiglio appena approvato il provvedimento. Il giorno dopo, 10 novembre, lo spread cade di oltre cento punti e chiude a 460. Questo significa un punto percentuale in meno d’interesse sui Btp.
Si compie la svolta politica. La Legge sviluppo è approvata e, il 12 novembre, Berlusconi rassegna le dimissioni. Lunedì 14 lo spread chiude a 492. Due giorni dopo, il 16, il governo Monti giura e si insedia, in attesa di una fiducia assicurata. Lo spread sale a 518, dato massimo del periodo post berlusconiano.
Nei giorni successivi resta su livelli alti, e questo ispira la “riscossa” del centrodestra sulla presunta indifferenza dei mercati davanti a un governo Berlusconi o a un governo Monti. Quest’ultimo è accusato a livello internazionale di non fare abbastanza “in fretta”, lo spread si muove sempre intorno ai 500 punti, ma non supera mai quota 504. Nonostante le affermazioni di Alfano, Di La Russa e di tanti altri esponenti dell’ex maggioranza, i numeri dicono che sono 70 punti in meno del poco invidiabile record berlusconiano. Fino al 5 dicembre, quando la la manovra “lacrime e sangue” di Monti è svelata ai cittadini e ai mercati: la differenza di rendimento fra titoli italiani e tedeschi scende sotto la soglia dei 400 punti.
Questi sono i fatti e i numeri del mese che ha cambiato il volto della politica italiana. Se poi si guarda tutta la durata del governo Berlusconi, come ha fatto recentemente il Financial Times, si scopre che cinque anni fa, quando a palazzo Chigi sedeva Romano Prodi, lo spread era a 24 punti. Vale a dire venti volte meno del livello record berlusconiano. Poi è arrivata la crisi e la grande tensione sui mercati finanziari che – sono sempre i numeri a dirlo – il Cavaliere non è riuscito a contenere, tra manovre estive montate e smontate, continui bracci di ferro con gli alleati leghisti, uno stillicidio di defezioni parlamentari e una credibilità internazionale irrimediabilmente perduta.