di Flavia Fiocchi
Negli anni novanta la Mecca dell’arte era New York, si guardava alla Grande Mela e lì si voleva approdare. Oggi l’obbiettivo si è spostato e uno dei più prestigiosi premi dell’arte contemporanea viene assegnato nel cuore della vecchia Europa. Si tratta del Turner Prize, rivolto agli artisti inglesi e intitolato al pittore William Turner. Uno dei premi più famosi e forse anche quello più “sotto i riflettori”.
Dal 1984, anno della sua istituzione, il Turner Prize è stato per ben tre volte consegnato ad artisti scozzesi. Ancora una volta i fari dell’arte sono puntati sulla città di Glasgow, nuovo punto di riferimento per gli artaoholic.
Il vincitore di quest’anno è Martin Boyce, classe 1967, rappresentato dalla galleria Modern Institute di Glasgow. Boyce non è sconosciuto in Italia, dopo che ha partecipato alla Biennale del 2009 come rappresentante della Scozia con le sue installazioni che fondono scultura e architettura. In particolare, l’opera Do Words Have Voices, che gli ha consegnato sul piatto d’argento il prestigioso premio, crea una dimensione poetica: un tavolo di Jean Prouvé – designer ispiratore di Boyce – graffiato, foglie geometriche sospese, alberi metallici. La trasposizione artistica di un parco di città, con quel tocco di rigore e ispirazione che non guasta.
Gli altri finalisti erano George Show (1966), Hilary Lloyd (1964) e Karla Black (1972), quest’ultima favorita dei bookmakers inglesi, anche per il successo riscosso alla Biennale di Venezia appena conclusa.
C’è stato un pizzico di Italia anche in questo premio d’oltremanica: a pronunciare la frase “and the winner is” è stato Mario Testino, fotografo di moda già amato dagli inglesi per i suoi scatti del Royal Wedding. Nato in Perù, da mamma irlandese e papà italiano.
Boyce si porta a casa un premio di 25mila sterline (circa 30mila €), mentre gli altri tre nominati si accontentano di 5 mila sterline. Parafrasando il proverbio scozzese che dice “la sapienza è un dono e anche un investimento”, si potrebbe dire che l’arte oggi genera sì cultura, ma non dimentica l’importanza di un grande show.