Era il 17 aprile 2007, durante le ultime presidenziali francesi. A Metz il candidato Nicolas Sarkozy pronunciò un discorso dinanzi a un folto gruppo di militanti: «La Francia non ha mai ceduto alla tentazione totalitaria. Non ha mai sterminato un popolo. Non ha inventato la soluzione finale. Non ha commesso crimini contro l’umanità, né un genocidio». Il riferimento, ovviamente, era alla Germania. Quelle parole rappresentavano un tipico esempio della germanofobia che all’elettorato neogollista piace cosi’ tanto.

Correva il 2009. L’anno dopo il crack di Lehman Brothers. Ormai l’anno della crisi dell’economia reale. La Francia, rispetto agli altri Paesi europei, sembrava resistere meglio: grazie a un ambizioso e costoso piano di rilancio dell’economia e ad ammortizzatori sociali rafforzati, onerosi per lo Stato. Nel 2009 l’economia francese segnò un meno 2,6%, ma alla Germania andò molto peggio (-5,2%). «La Francia agisce, la Germania riflette», pontificò Sarkozy. Quanto a Christine Lagarde, oggi alla guida del Fondo monetario internazionale, allora ministro dell’Economia, ammise di non essere sicura che il modello tedesco «sia valido sul lungo termine per l’insieme della zona euro».

Sembra trascorso un secolo… Eccoci al 2011. La Germania tiene, la Francia arranca. A pochi mesi dalle nuove presidenziali, stavolta Sarkozy si riempie la bocca del «modello tedesco». Nell’ultimo incontro a Parigi con Frau Angela ha accettato tutte le sue proposte per risolvere la crisi dell’euro. Si è perfino rimangiato il progetto di eurobond, da sempre contrastato da Berlino. Non si tratta solo di una fase, di una congiuntura. Sono emerse differenze strutturali tra un Paese, la Germania, che ha saputo riformarsi e continuare a produrre, puntando sulla qualità e una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, e un altro Paese, la Francia, che non ha portato avanti le stesse riforme, ha conservato un’amministrazione pubblica elefantiaca e ha dimenticato la sua tradizione industriale. Esportano solo 91mila aziende francesi contro le 400mila tedesche e le 200mila italiane. E negli enti locali francesi (è solo un esempio) i dipendenti sono lievitati del 40% negli ultimi venti anni. In quelli tedeschi nel frattempo si sono ridotti del 30%.

Standard & Poor’s ha appena messo sotto osservazione (“outlook negativo”) sia il debito sovrano di Parigi che quello di Berlino. Entrambi potrebbero perdere la tripla A. Ma ai francesi si minaccia il taglio di ben due livelli del rating, ai tedeschi di uno soltanto. Anche in questo caso Germania batte Francia 1 a 0. Comunque.

Pochi giorni fa si leggeva in un editoriale di Le Monde: «Henri Kissinger si lamentava sempre. Diceva che l’Europa non ha un numero di telefono. Ora sarà finalmente contento. E’ quello della Cancelleria tedesca».

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