Il tempismo non è stato dei migliori. Proprio ieri il duo Sarkozy-Merkel aveva (finalmente) avanzato delle proposte per contenere la terribile crisi dell’euro (leggi). Proprio questo venerdì si terrà a Bruxelles un vertice europeo importantissimo, dove quelle proposte dovranno essere discusse. E dove l’Europa dovrà dare una parvenza di unità e determinazione. Non solo: proprio ora pure sul «caso Italia» il contesto stava cambiando, con un’altra (pesante) manovra finanziara, che per gli investitori internazionali è solo una notizia positiva. Ma proprio ora Standard & Poor’s, l’agenzia di rating, una delle tre principali al mondo (e forse la più seguita dagli investitori), ha deciso di mettere sotto osservazione negativa 15 dei 17 Paesi della zona euro.
Sono rimasti fuori solo Grecia e Cipro, che non sono stati neppure presi in considerazione (Atene, d’altra parte, si trova già giù in fondo alla classifica). C’è l’Italia. C’è la Francia, come era previsto da tempo, un lungo tormentone. Ma c’è perfino la Germania. La comunicazione di S&P, arrivata ieri sera in tarda serata, dopo la chiusura di Wall Street, significa che l’agenzia ha 90 giorni per prendere una decisione. Per decidere se peggiorare il proprio voto dato al debito sovrano di ciascuno di questi Stati. Insomma, significa che la Germania potrebbe perdere la sua tripla A, ma anche gli altri componenti di quel ristretto club che nell’Eurozona potevano ancora contare sul massimo dei voti, vedi, oltre alla Francia, Olanda, Lussemburgo, Finlandia e l’Austria, il cui «mito» in effetti aveva cominciato a scricchiolare sui mercati internazionali, con lo spread pure per Vienna ormai in tensione: l’hinterland tedesco già preso di mira.
Per la Francia ci sono le prospettive peggiori. Il Paese è ancora inserito nella categoria tripla A. Ma da mesi giravano sui mercati voci di un declassamento. Lo scorso 10 novembre Standard aveva addirittura inviato un comunicato ai suoi abbonati dove annunciava che il downgrade francese era ormai cosa fatta. Un errore tecnico, avevano detto subito dopo da New York. In realtà era vero, come già ammetteva da tempo la stragrande maggioranza degli economisti a Parigi. Le cose, però, vanno ancora peggio del previsto. Perché l’agenzia adesso minaccia la Germania di passare da AAA a AA+ e gli altri Paesi, in ogni caso, di scendere di un livello nella votazione. Mentre per la Francia la prospettiva è addirittura di perdere due livelli.
Ieri sera Sarkozy e Merkel hanno subito reagito alla decisione di S&P, annunciata dopo la fine delle contrattatzioni a New York. Hanno assicurato, in maniera congiunta, di «essere risoluti nella difesa della stabilità finanziaria della zona euro». Stamani la Merkel ha rincarato la dose: “Andiamo avanti – ha dichiarato – sulla strada tracciata”. Quanto a Standard&Poor’s, ha precisato che «è nostra opinione che la mancanza di progressi da parte dei politici europei non ha permesso di mettere sotto controllo gli spread». Il dito è puntato contro l’incapacità a reagire, una governance difettosa. E’ soprattutto una critica politica. E allora, l’annuncio, forse, non è un caso: è solo la volontà di spronare l’Europa a fare e a fare in fretta. Sembra averlo interpretato così Wolfang Schaueble, ministro tedesco delle Finanze. Ha definito la bocciatura di S&P “il miglior strumento possibile” in vista del vertice europeo. E ha aggiunto: “Non è affatto vero che il modello europeo è alla sua fine”.
Qualcuno stamani comincia anche a dire che, poi, non è la fine del mondo. Che l’estate scorsa S&P ha già sottratto la tripla A al debito sovrano degli Stati Uniti. E che, da allora, la situazione è migliorata, almeno la reputazione finanziaria di Washington. In realtà, non è cosi’ semplice. Prendiamo la Francia. Secondo le stime di Philippe Mills, direttore di Agence France Trésor (Aft), società che tratta proprio i bond del debito pubblico, solo la perdita di un livello nel rating dovrebbe comportare per Parigi un sovraccosto di 120 punti base nel finanziamento del proprio debito: in soldoni, fra i 2,5 e i 3 miliardi di euro aggiuntivi all’anno. E stiamo parlando di un solo «notch». La Francia, ora, rischia di perderne addirittura due.