La crisi ci costringe a ritornare alle cose vere. Basta col virtuale, serve il lavoro manuale, che produce cose concrete. Possono così tornare utili vecchie abilità a lungo considerate obsolete. Io ne faccio collezione. So tagliare l’erba medica con la falce fienaia, so diradare le barbabietole, so smontare e rimontare un orologio a molla, so risuolare le scarpe, so fare il pane ferrarese, so l’aoristo di bàino, so insaccare salami, so trovare l’ape regina in un alveare e so costruire una fionda con la camera d’aria da bicicletta. Quasi tutte cose che ho imparato da mio nonno. Lui era una miniera di saperi tramontati. Sapeva anche fare le scope con la saggina. Qualche volta mi mandava a raccoglierla lungo i canali. Non era mica facile. Doveva essere asciutta al punto giusto, ma non secca. Sennò si spezzava. Troppo verde invece sarebbe ammuffita.

Il nonno sapeva anche pescare le rane. Serviva una canna con filo nervino e un batuffolo di garza all’estremità. Si faceva pendere delicatamente la garza davanti a una rana finché non abboccava impigliandosi i denti nel tessuto. Allora veniva la parte più difficile. Bisognava tirare la rana a sé e prenderla al volo prima che si liberasse. Io che non ci riuscivo, tiravo forte la canna lanciando le rane contro il muro del fienile. Così le catturavo, sfracellate sul marciapiede. Ma il nonno non approvava questo mio brutale metodo di pesca. Gli animali bisognava rispettarli anche da morti. La cosa più difficile che mi ha insegnato il nonno è ammazzare e scuoiare un coniglio. Non lo faccio ormai da trent’anni, ma ne ricordo ogni movimento.

Ingredienti:
1 coltellino a punta con manico fisso
1 palo della vigna (va bene anche un cancello o un albero)
1 coniglio
1 metro di spago grosso
1 vanga

Scavare con la vanga un buco per terra vicino al palo e profondo circa una spanna. Prendere il coniglio per le zampe posteriori e assestargli un colpo secco alla nuca. Questo gli romperà l’osso del collo. Passare un nodo a bocca di lupo attorno ad ogni zampa e fissare il coniglio al palo a un metro da terra con la testa all’ingiù. Sgozzarlo con il coltellino e lasciare scolare il sangue. Sempre con il coltellino, incidere la pelliccia delle zampe appena sotto le unghie e con le mani iniziare a spellare l’animale tirando la pelliccia verso il basso. Giunti all’inguine, recidere il lembo di pelle fra le zampe e proseguire la scuoiatura fino alla testa. Con il coltello, aprire il ventre dell’animale e staccare le interiora dalla carne. Individuare il fegato: grande come un palmare, di colore brunastro e lucido. Controllare che non presenti macchie bianche o altre cicatrici. Sarà un segno che l’animale era sano e non affetto da mixomatosi. Recidere la testa con il coltello e buttare le interiora nel buco assieme alla pelliccia. Incidere le zampe e spezzarle nel punto dove è rimasta la pelliccia. Deporre l’animale in una bacinella e lavarlo sotto l’acqua corrente. Sfilare le zampette dallo spago e lasciarle seccare all’ombra. Legate ad un laccio di cuoio se ne potrà ottenere suggestivi portachiavi o amuleti portafortuna.

Il nonno mi lasciò ammazzare il mio primo coniglio solo dopo molti allenamenti. Soprattutto per il colpo alla nuca. Mi ero esercitato sui meloni marciti e sulle bambole di mia sorella. Doveva essere un colpo secco, per non far soffrire l’animale. Seppellire le interiora era un piccolo funerale. Col tempo, ci cresceva sopra l’erba. A ogni coniglio cambiavamo palo della vigna.

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